Zaki, il ritorno alla vita dopo il carcere

Francesca PaciIl giorno dopo è la sbornia di libertà, ma con juicio. Patrick Zaki ha tirato tardi al jazz club del Cairo mercoledì, come fosse una qualsiasi sera di festa. Sa però che non lo è. La sua scarcerazione, celebrata da Bologna a Roma, ha ricevuto in Egitto un'accoglienza timida. Un colonnino sul quotidiano "indipendente" al Shuruk e un passaggio sulla super-governativa Ten TV, dove il conduttore Nashat Al-Daihi ha rendicontato la gioia delle autorità italiane evidenziando «una sorta di esagerata felicità», dal momento che pur essendo tecnicamente "libero" Zaki è ancora imputato. Lui non si fa illusioni: non ha l'obbligo di firma e dispone del passaporto, eppure non partirà. Seppure all'aeroporto lo lasciassero passare, cosa sarebbe poi della famiglia? E del processo, aggiornato al primo febbraio? Dall'appartamento di Madinaty, il quartiere nuovo e residenziale sulla strada tra la capitale e Suez dov'è rientrato con i genitori e la sorella Marise dopo le ultime procedure al commissariato di Mansura, racconta con voce argentina come si sente, cosa fa, se ha riposato nel letto fresco di bucato dopo 669 infinite notti di nuda pietra e un mal di schiena ormai cronico.Sonno profondo, pensieri, paura di sperare: che notte è stata, Patrick, la prima?«Ho bisogno di tempo per riposare veramente e ritrovare il mio equilibrio, perché è stato un periodo lungo e niente affatto facile. Sto provando a comprendere cosa succede adesso intorno a me».Come hai trascorso il day after della tua scarcerazione?«Mercoledì ho viaggiato in macchina da Mansura al Cairo, dove abita la mia famiglia. Siamo stati insieme, dovevamo recuperare due anni di assenza. Poi sono uscito, anche gli amici mi aspettavano. Abbiamo fatto tardi».Cosa, di tutto quanto ti mancava in cella, hai scoperto mancarti di più?«Mi mancava la mia libertà. Poi mi mancavano le cose di ogni giorno, l'ufficio, il lavoro, le lezioni universitarie, i libri da scegliere senza limiti, il tempo com'è quando non lo cadenzi, guardare una partita di calcio, ci pensavo tanto. Per natura sono una persona a cui non piace star seduta a casa o in luoghi chiusi. Complici la mia personalità e il mio lavoro trascorrerei tutto la giornata fuori».È successo tutto all'improvviso. Non avevi colto il segnale di un cambio di passo nella Corte?«Assolutamente no. Non ci pensavo proprio, perché ero stato rinviato al processo. Sono rimasto molto stupito, specialmente perché direttamente non mi avevano comunicato nulla, ero all'oscuro di tutto fin quando sono arrivato al commissariato e mi hanno detto che potevo andare. Ho anche chiesto se fosse vero, non mi capacitavo. Mi hanno risposto che lo era».Cosa farai adesso? Il prossimo appuntamento con i giudici è tra un mese e mezzo, ma a priori non hai limiti.«So solo che appena avrò il permesso di viaggiare partirò per Bologna: l'ho già detto, voglio continuare i miei studi, è la mia priorità».L'Italia che vorrebbe per te la cittadinanza della salvezza, ti aspetta. Che ruolo credi abbia avuto Roma in questo rilascio estemporaneo in cui tu stesso non confidavi? «Per quanto rischi di ripetermi, non smetterò di ringraziare il ministro degli Esteri italiano che ha seguito il mio caso passo dopo passo. Gli riconosco uno sforzo enorme e gliene sono tanto grato. A lui come agli italiani tutti, ai miei colleghi di università, al rettore dell'ateneo. Il pensiero è lì, spero di rivedere Bologna il più presto possibile».Anche il secondo day after volge a termine. Il telefono non smette di squillare, chiamano dal Cairo, dall'Italia, dalla Germania. Da Parigi arriva un video di Solafa Sallam, la giornalista egiziana arrestata nel novembre 2019 e rilasciata un anno e mezzo dopo, che canta per Patrick la canzone tradizionale con cui i detenuti salutano la liberazione di uno di loro. Una fuga in avanti. --(Ha collaborato Magdy Samaan)© RIPRODUZIONE RISERVATA