L'infinito tempo d'attesa delle donne di Srebrenica
triesteNei campi profughi di Tuzla l'attesa delle donne di Srebrenica, più di 25 anni dopo il massacro. Sono le immagini, le storie e i pensieri di alcune delle vedove di Srebrenica, scappate nei primi anni Novanta del secolo scorso dai centri urbani per rifugiarsi nei campi profughi nei dintorni di Tuzla. Donne che hanno perso tutto nella guerra che ha dilaniato quest'angolo di Bosnia e che dopo 25 anni dalla tragedia continuano a risiedere in questi campi, fatti di casette prefabbricate, con i propri figli e i propri nipoti. S'intitola "Aspettiamo invano" la mostra della fotografa Meta Krese che si inaugura oggi alle 18 al Teatro Miela, come parte degli appuntamenti del progetto "Ritorni/Vracanja: Tempo di guerra, tempo di pace", rassegna di eventi organizzata dall'associazione Slovenski Club, in collaborazione con Bonawentura, Teatro Miela e S/paesati. Il titolo dell'esposizione si riferisce a questo infinito tempo dell'attesa, in cui i campi profughi rappresentano per le vedove che vivono lì con ciò che resta delle loro famiglie una grande sala d'aspetto. Si aspetta di avere i soldi per ricostruire la propria abitazione distrutta durante la guerra, di rientrare in possesso della proprietà di famiglia, insomma di poter ritornare a casa. E intanto si convive con i traumi della guerra ha portato e che la pace non è in grado di cancellare. Come si fa a dimenticare un massacro di oltre 8000 uomini, il più grave genocidio in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale? "Ho 42 anni, sono stata sposata due volte e ho sette figli. Viviamo tutti nel campo profughi Jezevac. Sono esaurita, i figli sono senza lavoro", dice una di loro, Sugra Mustafic. E allargando lo sguardo è impossibile non pensare che come Sugra, come le vedove di Srebenica, vivono più di 80 milioni di profughi e di sfollati, persone senza nome. L'autrice degli scatti e della raccolta di storie che documentano, Meta Krese, è giornalista e fotografa, lavora per diversi giornali e riviste slovene e, occasionalmente, straniere. I suoi servizi speciali arrivano dalla Slovenia e dai paesi balcanici, così come da località ancora più lontane. Per il suo lavoro ha vinto il premio per il giornalismo straordinario dall'Associazione slovena dei giornalisti, il premio giornalistico europeo Writing for Cee 2011 e per due volte le è stato assegnato il Pulitzer Center. Parteciperà all'inaugurazione della mostra insieme alla studiosa e traduttrice Marija Mitrovic e al fotografo Jost Franko: insieme, con la moderazione della giornalista Poljanka Dolhar, ricorderanno anche lo scrittore triestino Marko Sosic (1958-2021), che ha avuto un legame particolarmente stretto con la Bosnia. Verrà presentato il racconto breve "Do zadnjega imena - Fino all'ultimo nome", tradotto in italiano da Darja Betocchi e uscito in una nuova edizione bilingue a cura dello Slovenski klub. Il catalogo della mostra e il libro "Fino all'ultimo nome" saranno a disposizione del pubblico in cambio di un'offerta libera: tutti i proventi verranno devoluti all'organizzazione Snage zene, che si occupa delle donne di Srebrenica (snagazene.org). Aperta ogni giorno dalle 17 alle 19 fino al 22 dicembre . --g.b.