La liberalizzazione dei brevetti mossa populista
Sul fatto che ci sia bisogno di un approccio globale alla vaccinazione contro Covid-19 non c'è disputa. Attualmente, meno dell'1% delle persone nei paesi in via di sviluppo ha ricevuto uno dei vaccini e più di 85 di questi paesi non vedranno una campagna vaccinale capillare prima della fine del 2023. In questo senso, come non dare ragione Katherine Tai, responsabile del commercio estero degli Stati Uniti, quando afferma che «circostanze straordinarie - come quelle della pandemia da Covid-19 - richiedono misure straordinarie»? Il problema, però, è capire in cosa consistano queste misure straordinarie e se liberalizzare i brevetti sui vaccini sia da sola la strada vincente. La sensazione, in realtà, è che il dibattito attuale sia ispirato da un misto di populismo, ingenuità e strategia diplomatica dei paesi, più che dalla reale considerazione delle problematiche tecniche sottostanti alla produzione e alla distribuzione dei vaccini. Un punto di partenza importante riguarda il principio stesso per cui esistono i brevetti. Le statistiche indicano che lo sviluppo di un farmaco normalmente dura circa 10 anni e richiede un investimento che varia tra i 500 milioni e i 2 miliardi di dollari. I tempi sono stati straordinariamente più brevi per i vaccini contro Covid-19 (un record storico), ma il costo stimato non è variato di molto ed è stato in massima parte sostenuto dalle aziende. Ad esempio, tra i produttori di vaccini, Moderna è stata fondata soltanto 11 anni fa per sviluppare vaccini contro i tumori e non ha mai fatto un profitto finora, con gli investitori a sostenere l'onere di 830 dipendenti pre-pandemia. Se voi foste stati gli investitori di Moderna, sareste stati disposti a correre l'ulteriore rischio di un finanziamento miliardario per Covid-19 sapendo che alla fine chiunque avrebbe potuto imitare liberamente il vostro prodotto? Vero è che tutti i produttori di vaccini hanno ricevuto aiuti pubblici, direttamente o indirettamente: i finanziamenti pubblici hanno prima sostenuto la ricerca di base sulla tecnologia, poi aiutato la fase di sviluppo e infine assicurato un mercato in anticipo della produzione (ad esempio, BioNTech ha ricevuto 375 milioni di Euro dal governo tedesco e 100 milioni in finanziamento del debito dalla EU). Ma tutto il resto dell'investimento (e, soprattutto, del rischio che il vaccino non funzionasse) è stato a carico dalle aziende. Eventi già accaduti e ampiamente ripagati, si dirà, visto il profitto che hanno già fatto ad oggi gli investitori. Ma saranno queste aziende così motivate ad aggiornare il vaccino inseguendo le varianti (attività che sembra sempre più necessaria) se alla fine l'investimento sarà di base senza profitto? E chi controllerà simili azioni di modifica da parte di produttori terzi nei paesi in via di sviluppo? Avremo una babele di vaccini non validati in giro per il mondo?Oltre a questo principio generale sulla proprietà intellettuale come generatore di benefici collettivi, rimane il problema cruciale della capacità tecnologica. Tutti i vaccini contro Covid-19 ricadono nella categoria dei farmaci biologici. Il primo di questi è stato l'insulina nel 1982, seguita dall'ormone della crescita, il vaccino contro l'epatite B e molte centinaia di altri. Proprio questa settimana la Fda ha approvato il 100mo anticorpo monoclonale. I brevetti sui farmaci durano circa 20 anni, quindi ormai sono molte decine i farmaci in questa categoria che possono essere prodotti come biogenerici, e sono circa 800 le aziende biotec che lo stanno già facendo. Ma queste sono quasi tutte in Europa, Stati Uniti e India. I paesi in via di sviluppo in Africa, America Latina e Asia dipendono largamente dall'importazione di questi farmaci dall'estero. Non una sola azienda produttrice esiste in un continente così vasto e popolato come l'Africa per un farmaco così salvavita come l'insulina. Perché? Semplice: perché produrre questi farmaci è complicato. È la capacità tecnologica il fattore limitante, non il brevetto. E se questo è vero per proteine relativamente semplici come l'insulina, immaginiamo come possa essere per un farmaco super-sofisticato e innovativo come una nanoparticella lipidica che contiene un mRNA (i vaccini di Pfizer e Moderna) o anche per un vettore adenovirale modificato (come AstraZeneca e altri). E anche quando la capacità tecnologica possa essere sviluppata e trasferita alle aziende locali, rimane il problema della distribuzione e dell'accesso. Prendiamo il caso dell'India, che ha una delle aziende biotec più sviluppate, è uno dei principali produttori di vaccini al mondo e ha prodotto i propri vaccini per Covid-19 fin dall'inizio (Covishield, simile a AstraZeneca e Covaxin, basato sul virus inattivato). Nonostante questa capacità, meno del 2% della popolazione è oggi vaccinata e il disastro che il dilagare del coronavirus sta creando è sotto gli occhi di tutti. In conclusione: molto nobile il principio della coalizione di 100 paesi che chiede la sospensione dei brevetti, molto generose le parole di appoggio di Biden, molto condivisibile l'anelito a vaccinare il mondo. Ma passare dai nobili principi populisti alla realtà dura dei fatti richiede azioni ben più complesse. --