Di Stefano, la voce che accompagnò un'epoca

di NADIA PASTORCICH"Giuseppe Di Stefano. Voglio una vita che non sia mai tardi" è il volume di Gianni Gori appena uscito per la collana "grandi voci" di Zecchini Editore, con la postfazione di Adolfo Vannucci. Mercoledì, alle 17.30, al Museo Teatrale Schmidl (Palazzo Gopcevich) Stefano Bianchi direttore del Museo dialogherà con l'autore, presentando il libro e ricordando le presenze triestine dell'artista. Dopo Trieste il libro sarà presentato il 6 dicembre a Firenze dal critico Cesare Orselli.A quasi dieci anni dalla morte del grande tenore, Gori ce lo racconta, senza cadere nella banale biografia, in un testo che diventa voce di un'epoca e del suo tenore. È la storia di Pippo - nato a Motta Sant'Anastasia, nel 1921 - un bambino che lascia la Sicilia per trasferirsi insieme ai genitori al nord, a Milano. La Milano della Scala, dei sogni, delle speranze. Ed è proprio tra il profumo delle tavole del palcoscenico e il velluto delle poltroncine che Di Stefano inizia a sognare. Ma l'idillio dura poco. La guerra è alle porte. Con quel suo timbro vellutato Di Stefano si dà alle canzonette con lo pseudonimo di Nino Florio. Dopo la parentesi svizzera, ritorna nel capoluogo lombardo, ormai distrutto. Deve iniziare tutto daccapo. Senz'altro dalla sua parte ha delle carte vincenti: lo charme che affascina, la «voce cremosa da cannolo siciliano» che conquista, ma anche tanta umanità. Gori traccia un Di Stefano prima di tutto uomo, con le sue fragilità e insicurezze, condite però da quella grinta e voglia di vivere. Un Vasco Rossi in smoking si potrebbe dire. Non a caso già il titolo parla da sé. Pippo diventa il simbolo della rinascita italiana quando, nella primavera del '46, sale sul palcoscenico del Teatro Municipale di Reggio Emilia, con "Manon", conquistando il pubblico. Il clima che si respirare è forte. Il passo verso il boom economico è breve. La sua voce diventa linfa vitale per chi ha sete di vivere.«Chi, in quel dopoguerra fremente di operistici furori, non ne ha amato lo smalto vocale? Chi non ne ha subìto la seduzione quasi erotica, assaporando la fragranza di quel canto distillato da una sorta di alambicco dei sensi?», si interroga Gori. Sono domande alle quali, anche chi non ha vissuto quell'epoca, può facilmente rispondere: basta ascoltare la voce di Di Stefano.Morbidezza e mezzavoce, Pippo le porta con sé anche a Trieste, a "La Bohème" e ai "Pescatori di perle" al Castello di San Giusto e al "Werther" al Teatro Verdi. Sono gli anni '50 e proprio in quel periodo la sua vita si intreccia con quella di Maria. Ma non Maria Girolami, sua moglie - che gli dà tre figli - ma la Divina Callas, con la quale fa coppia in scena. Oltre a lei, si susseguono altre partner eccezionali come Tebaldi, Simionato, Stella, e la sua voce va oltre confine, arrivando nei teatri più importanti del mondo. E quando alla fine degli anni '60 cala un telo di malinconia, Pippo non si arrende. Prima il Festival di Sanremo poi l'operetta. Genere che non ha mai rinnegato, così come le sue origini di canzonettista. Ma il destino vuole che la sua vita incroci nuovamente quella della Callas che diventa molto più che la sua compagna di scena. Purtroppo la fine per Maria è vicina. Distrutto, Di Stefano trova rifugio nell'operetta, grazie alla quale incontra il soprano Monika Curth, che poi sposa. Amato dalla folla, amato dagli altri tenori, amato dalle donne. Di Stefano ha amato molto e molto si è fatto amare. E non si può che non essere d'accordo con Bernardo Pieri quando dice che «Gori non si limita a raccontare ma sembra far quasi rivivere, contagiando il lettore». E poi c'è un mondo, un mondo magico che avvolge Di Stefano, fissandolo nel tempio dell'immortalità.©RIPRODUZIONE RISERVATA