CON LE REGIONALI POLITICA RIDOTTA A UN TOTOCALCIO

di FRANCESCO JORI Più che una scheda, una schedina: 6 a 1, 4 a 3, 5 a 2... Ha proprio ragione un analista disincantato quale Antonio Polito quando osserva che le elezioni regionali di domenica prossima sono le prime in cui non contano né le Regioni, né i partiti. Lo conferma il modo in cui a Roma si sta ragionando sull'esito del voto, misurandolo nei termini di quante vittorie e quante sconfitte per centrosinistra e centrodestra, e per i riflessi non sugli schieramenti, ma sui rispettivi leader. Renzi dovrà pagare dazio alla sua minoranza interna? Berlusconi subirà il colpo del ko? Salvini riuscirà ad affermarsi come leader della nuova destra? Grillo rimarrà o no megafono della protesta a prescindere? La politica ridotta a un totocalcio: dove l'interesse è puntato, più che sulle squadre, sui loro allenatori. Tempi tristi per le Regioni, quelle vere; quelle che avrebbero dovuto essere, e che non sono riuscite a diventare. Un tempo, non lontano, il loro peso era decisivo a livello nazionale: il voto del 2000, negativo per il centrosinistra, indusse l'allora premier D'Alema a dimettersi. Oggi, la chiamata alle urne è molto più limitata fin dal numero: ne coinvolge appena un terzo, sette su venti, perché terremoti di varia natura hanno fatto cadere strada facendo diversi governi locali; e l'ultima in ordine di tempo, quella dell'Emilia, ha fatto registrare tra l'altro un tracollo della partecipazione: solo il 37 per cento è andato ai seggi. Colpa loro, certo: 17 consigli regionali su 20 e oltre 300 consiglieri risultano indagati per comportamenti indecenti. Ma colpa anche di un apparato statale che non vedeva l'ora di celebrare i funerali del federalismo per mettere al sicuro la propria bulimìa centralistica. SEGUE - CON I SERVIZI - A PAGINA 6