Trieste Next, l'energia che ci aspetta nel futuro
di Gabriella Ziani Quando accendiamo la luce mettiamo in moto scenari inquietanti. Di natura tecnica, politica, scientifica, industriale, economica, regionale, nazionale, internazionale, planetaria, del suolo, dell'aria e del sottosuolo. Al primo forte appuntamento della tre giorni di salone triestino della scienza "Trieste Next" ieri pomeriggio al Ridotto del Verdi, con la tavola rotonda "L'evoluzione del mercato energetico", è stato immediatamente chiaro che il tema di quest'anno, "EnergEthic", che coniuga il tema dell'energia con quello dell'etica, sarebbe degno di "talk show" quotidiani per far davvero sapere, a noi distratti ma costanti accenditori di di luce, in che razza di guaio ci troviamo, e che razza di futuro ci aspetta. Il quadro di prospettiva (allarmante) l'ha fatto una star della materia, Jacob Klimstra, ingegnere esperto nel campo elettrico, elettronico e meccanico, responsabile di centri di ricerca sull'uso del gas e per la Wärtsilä (tra i partner di "TriesteNext") consulente nel campo della creazione di nuovi sperimentali generatori di energia per i grandi motori che l'azienda produce, anche a Trieste. Nel 2035 l'Asia, ha detto Klimstra (non assistito da traduzione simultanea) consumerà più del 50% dell'energia totale del pianeta, ogni tonnellata di energia produce 2,5 chili di anidride carbonica (Co2), in un anno il pianeta ne manda per aria 35 trilioni di chili, le riserve mondiali di olio e gas naturale «saranno finite - ha avvertito guardando la platea piena di studenti - quando voi sarete ancora giovani». Ma le riserve solo in quantità irrisoria sono in Europa. Dunque paghiamo caro, mentre per paradosso siamo già in una fase di "iperproduzione" di energia per l'enorme impulso dato in Italia alle fonti rinnovabili, generosamente incentivate, che nutrono la rete fino al 50% del fabbisogno nazionale seppure in modo intermittente (perché intermittenti sono sole e vento), e come conseguenza mandano in profonda crisi le aziende produttrici di energia tradizionale. Ma allora dobbiamo puntare sulle rinnovabili per non distruggere l'atmosfera con la Co2 oppure usare diversamente le fonti tradizionali per non incorrere in altre preoccupanti conseguenze? Moderato dal giornalista del "Sole 24 ore" Jacopo Giliberto, il dibattito si è concluso con un appello a non pensare "dopo di me il diluvio" ma a creare quel che ancora non c'è, un "mix" di produzione e consumo "flessibili": il consumatore potrebbe accendere la sua luce (e il resto) nel giorno e nell'ora in cui c'è meno ingorgo. Pagando meno. Su misura. E compensando i flussi, salvando così anche le aziende in crisi nera. Argomenti sviscerati in modo problematico da Marco Golinelli, vicepresidente di PowerPlants in Wärtsilä, Francesco Cariello dell'Authority dell'energia, Carlo Stagnaro, direttore Ricerche e studi dell'Istituto Bruno Leoni, Pietro Musolesi, amministratore delegato di Hera Trading. Ma a dare una virata al punto di vista è stata la scienziata, Fedora Quattrocchi, esperta in politiche energetiche, che la propria irritazione stentava a trattenere, e che ha definito gli scienziati «i veri rottamatori». Nel merito per Quattrocchi tutte le politiche attuali sono sbagliate: «Bisogna tornare a "stoccare" fonti energetiche nel sottosuolo, ciò che nessuno vuole perché "mai nel mio giardino"». Le fonti rinnovabili? «Lentissime nel rinnovare davvero», e soprattutto «i materiali rari che servono per le "smart grid" (le reti di produzione e distribuzione dell'energia, ndr) si ricavano da miniere in Africa, tutte acquistate dalla Cina - ha ammonito Quattrocchi -, mentre da noi le compagnie petrolifere sono assediate da molte lobby: politici locali che spesso hanno solo la terza media, assicurazioni private che impongono l'assicurazione contro i rischi per ogni iniziativa (una tassa di fatto), ambientalisti non tecnologici ma ideologici, politici nazionali che scappano davanti al primo striscione. E noi scienziati restiamo soli. Non abbiamo - ha concluso irritata - una classe politica competente». Ultime notizie dal fronte "energ-etico", non meno sconfortanti: gli accordi mondiali sull'abbattimento della Co2 hanno «fatto mercato delle emissioni», le compensazioni non spostano i livelli di insalubrità, e istituire una "carbon tax" sarebbe darsi la zappa sui piedi se non fosse estesa a India e Cina. Un domani ci arriverebbe dal mercato cinese anche l'energia, sporca e a basso prezzo, fallirebbero la salute del pianeta come le aziende produttrici di energia tradizionale, fotovoltaica ed eolica. Tutti cercano una soluzione che ancora non c'è. ©RIPRODUZIONE RISERVATA