«Una manovra di palazzo Serve altro»
di Ciro Esposito In campo era un maestro nel dribbling e nell'affondo. Anche di questi tempi, con la crisi "storica" del movimento azzurro, sembra voler usare le stesse armi. All'indomani delle dimissioni del commissario tecnico Cesare Prandelli e quelle del presidente Giancarlo Abete, Sandro Mazzola è stato uno dei primi a lanciare l'affondo. Gettando nella mischia senza tanti giri di parole quel Gianni Rivera con il quale un certo antagonismo sportivo c'è stato. Alla luce di quanto maturato oggi nelle stanze federali è ancora convinto della nomination? «Assolutamente sì. Anzi la sostengo in modo ancora più forte». Perché? «Perché ci vuole una ventata di novità coniugata all'esperienza e alla conoscenza del calcio. Caratteristiche che Gianni ha e sarebbero utilissime a risollevare il movimento». Ma dall'assemblea romana di ieri è uscito un rinvio. Non le sembra invece che sarebbe opportuno procedere più spediti? «Guardi, la situazione mi sembra complicata. Anzi mai è successo nella storia del calcio italiano che ct e presidente si dimettessero al termine di un match che ha sancito un fallimento. Quindi in fondo è giusto che Tavecchio e gli altri si siano presi una pausa di riflessione». D'accordo la riflessione ma la sensazione è che finora si stia pensando solo a una manovra di Palazzo. Pesa chi ha più voti ma dov'è il progetto sportivo? «Appunto anch'io ho questa sensazione. E la condivido con altri. Mi piacerebbe che finalmente un uomo che viene dal calcio giocato fosse messo al vertice della Federcalcio. Per questo ho lanciato l'idea Rivera. Negli altri paesi questa linea è stata adottata con successo. Rivera peraltro è conosciuto a livello internazionale. Finora nessuno in Italia ha voluto praticare questa strada e non mi sembra che nemmeno adesso ci sia questa voglia di cambiamento. Staremo a vedere». Però lo sport nazionale è quello di delineare il profilo del nuovo commissario tecnico. Qual è la sua idea? «Le dico senza indugio che mi piace molto il profilo di Guidolin. Ha fatto bene ovunque ha allenato e sa lavorare con efficacia con i giovani e con quei giocatori che ancora non si sono affermati» Allenare la nazionale però comporta uno stress che forse l'ex tecnico dell'Udinese non reggerebbe. «Si può imparare a gestire la pressione. E poi bisogna anche valutare quali possano essere le alternative» I nomi sono sulla bocca di tutti: Allegri, Spalletti e soprattutto Mancini. A lei non piacciono? «Certo sono tutti e tre molto validi. Mancini ha una grande esperienza lontano dall'Italia e una spiccata personalità». Però hanno degli ingaggi fuori budget per la federazione. Non sarebbe il caso di fare uno sforzo? «Magari, ma in questo momento, anche per la situazione italiana, non credo ci siano margini. Comunque l'importante sarebbe avere bene in mente un obiettivo». Quale sarebbe? «Bisogna che, oltre alla Nazionale, anche i club italiani cominciassero a lavorare sui giovani. In serie A sono pochissimi i giocatori capaci di dribblare come Totti o Di Natale. E questo ha un significato» Serve più qualità nel lavoro sui vivai? «Il concetto è che per far diventare i ragazzini dei calciatori veri bisogna farli giocare a pallone. Invece negli ultimi dieci anni le preparazioni sono basate sulla corsa e sulla tattica. Basti vedere come giocano i sudamericani e gli africani in questo Mondiale: è uno spettacolo. L'Italia farebbe bene a riflettere». ©RIPRODUZIONE RISERVATA