Prandelli paga il conto «Il fallimento è mio»

di Pietro Oleotto wINVIATO A NATAL Vola l'asciugamano sul ring di Natal dopo il gol da ko di Godin. Il gesto della spugna che rappresenta la resa così caro alla boxe fotografa alla perfezione l'annuncio delle dimissioni irrevocabili di Giancarlo Abete e Cesare Prandelli. L'Uruguay non solo ha eliminato la Nazionale dai Mondiali, ha decapitato anche i vertici del nostro calcio, visto che l'Italia si ritrova in un colpo solo senza presidente federale e senza commissario tecnico. La delusione. La volontà di dire addio all'azzurro è stata rivelata nella conferenza ufficiale organizzata dalla Fifa, dove tuttavia vuole togliersi prima un sassolino dalla scarpa. L'arbitraggio del messicano Moreno Rodriguez non l'ha digerito: glielo ha anche detto di persona andando con molto fair-play a stringergli la mano a metà campo. «L'impressione è che in 11 contro 11 eravamo in gara – racconta il ct –. L'espulsione ha cambiato la gara ed è un peccato, perché potevamo giocarci la qualificazione senza quella decisione. Non era una gara da cartellini rossi: nello sport devi accettare le sconfitte, ma quando sono determinate da scelte sbagliate fai fatica a digerirle. Da lì in poi è cambiato tutto. Il morso di Suarez? Non l'ho visto, ho visto i segni che ha Chiellini, e adesso posso dire che, a questi livelli, dovrebbero essere usati più mezzi tecnologici per non sbagliare». La decisione. «Al termine della partita ho incontrato il presidente e gli ho presentato le mie dimissioni. È mio il progetto tecnico di questa squadra», spiega Prandelli visibilmente emozionato. Ma deciso. «La finale dell'Europeo aveva forse camuffato i problemi del nostro calcio. Ma c'è di più: dopo il nuovo contratto ci siamo trovati di fronte a delle aggressioni verbali che mi hanno colpito: ci siamo sentiti dire che siamo persone che rubano soldi ai contribuenti. E io non voglio sentirmi dire che rubo dei soldi. Siamo stati considerati, noi della Nazionale, quasi un partito anche se la federazione non prende soldi solo dallo Stato». Le critiche che sono uscite dal binario della polemica sportiva hanno colpito il ct che somma questi attacchi alla delusione per il fallimento sul campo: «Bisogna rifondare il nostro calcio, il nostro settore giovanile. Da noi ci sono troppi stranieri. Tante partite. E come Nazionale non abbiamo mai il supporto dei tifosi. Li dobbiamo conquistare gara dopo gara. Prima di partire quasi ci vergognavamo per il trattamento ricevuto: insulti, fischi. Non abbiamo senso patriottico noi in Italia, fischiamo a volte anche l'inno. E mi fermo qui: preferisco dire che bisogna ripartire dai giusti valori nei settori giovanili». I Mondiali. «La qualificazione ce la siamo giocata con il Costa Rica – spiega poi Prandelli – . A certi livelli conta non solo la tecnica ma anche la fisicità. Prendete questa gara. Era difficile trovare lo sprint degli uruguaiani: il nostro calcio non produce certi giocatori. Balotelli? Rientra nel progetto tecnico: io l'ho scelto e io mi dimetto». Poco prima il presidente gli aveva gettato una ciambella di salvataggio: «Spero che Cesare ci ripensi e prosegua», aveva detto Giancarlo Abete parlando del futuro azzurro. «No, le mie dimissioni sono irrevocabili», sottolinea il ct. D'altra parte Prandelli è l'uomo di punta scelto da questi vertici federali e le dimissioni annunciate dallo stesso Abete tolgono sostegno politico al ct, che non intende farsi coinvolgere dai gorghi che caratterizzeranno il calcio italiano nelle prossime settimane. L'altro addio. «Convocherò un consiglio federale appena tornati in Italia: sul tavolo ci saranno le dimissioni e anche le mie. Irrevocabili». Spiega Abete per tracciare un quadro del panorama in casa Italia. Ha al proprio fianco il vice-presidente Demetrio Albertini che ascolta in silenzio e potrebbe rappresentare la continuità. A meno che la federazione non decida di optare per una svolta drastica. «Questa decisione – prosegue Abete – arriva dopo una profonda riflessione. E, devo essere sincero, avevo preso questa decisione già prima del Mondiale. Ma farò ancora politica sportiva, vista la mia presenza in seno all'Uefa e al Coni. Chiunque sarà il nuovo presidente avrà il mio incondizionato appoggio. Lascio per tre motivi: personali, professionali e di politica sportiva. Su quest'ultimo fronte ora si parla di fallimento nonostante la finale dell'Europeo e un terzo posto alla Confederations cup: dico solo che è stato fatto il possibile per le potenzialità del nostro calcio. E che appoggio forte degli organismi sportivi ultimamente è mancato», chiude Abete facendo partire l'ultimo gancio. Già, ieri all'Arena das Dunas sembrava davvero di stare su un ring, tra colpi da ko e lanci della spugna. ©RIPRODUZIONE RISERVATA