Il genio distruttivo di Fassbinder raccontato nella prima biografia
Un lungo applauso di oltre 20 minuti e un'autentica standing ovation per il maestro Riccardo Muti hanno chiuso la terza e ultima rappresentazione del "Nabucco" di Giuseppe Verdi messa in scena a Tokyo dal Teatro dell'Opera di Roma Capitale. Nella grande sala della Nhk Hall di Shibuya, in migliaia hanno salutato in piedi la fine della tournée del Teatro romano che ha segnato il tutto esaurito nelle sei serate allestite in Giappone, incluse le tre del "Simon Boccanegra", proprio mentre sul palcoscenico spuntavano le scritte "sayonara" (arrivederci) e "grazie", più un enorme striscione di ringraziamento dedicato al maestro e all'intero corpo dell'ente lirico. «È andata benissimo», ha commentato Muti a sipario chiuso, soddisfatto e onorato per l'affetto rinnovato ancora una volta dall'attento ed esigente pubblico giapponese, esprimendo un «sentito ringraziamento» all'intero corpo del Teatro dell'Opera che ha lavorato con il massimo impegno per la riuscita della trasferta nipponica. Una scommessa vinta con la tournée dei record, capace di mobilitare oltre 250 persone per una trasferta del valore di 3,5 milioni di euro. «Lo scambio con il Giappone continua con il Balletto di Tokyo che inaugurerà il Festival di Caracalla. Ci aspetta quindi un grande Festival questa estate e poi, nella prossima stagione, "Aida" diretta da Muti», ha anticipato il sovrintendente Carolo Fuortes. di Paolo Lughi Provocatore, stakanovista o genio maledetto, Rainer Werner Fassbinder (morto nel 1982 a 37 anni) fu il protagonista più emblematico e sfortunato della triade di punta (gli altri due erano Wenders ed Herzog) del cosiddetto "Nuovo Cinema Tedesco". Questo movimento (ultimo in ordine di tempo fra le "nouvelle vagues") dominò incontrastato il cinema d'autore europeo negli anni '70 e nei primi ‘80, "lavorando sul mezzo cinematografico (e la sua storia) con spregiudicatezza, poco incline a manifesti e chiacchiere programmatiche, più attento a scovare nuovi modi antiaccademici di rendere le proprie contraddizioni e lacerazioni", come scrisse Giovanni Buttafava, importante testimone dell'epoca pure scomparso. Un movimento che scrisse un pezzo di storia e restituì per sempre al cinema tedesco spessore internazionale. E che colpì le contraddizioni pubbliche della società tedesca senza compromessi, con una sincerità spietata fino all'autoannientamento, come nel caso di Fassbinder. Ma chi era davvero la "bomba" Rainer Werner Fassbinder? Un personaggio che a trent'anni dalla sua scomparsa è tornato a far discutere con una biografia di Jürgen Trimborn, oggi tradotta in italiano da Il Saggiatore. Il volume ("Un giorno è un anno è una vita. Rainer Werner Fassbnder. La biografia", 427 pag., 35 euro) sarà presentato domani a Trieste, alle 18.30 alla Casa del Cinema (p.zza Duca degli Abruzzi), dalla curatrice dell'edizione italiana Anna Ruchat. All'incontro farà seguito, alle ore 20 al Teatro Miela, la proiezione del capolavoro di Fassbinder "Il matrimonio di Maria Braun" (1978), con Hanna Schygulla (ingresso gratuito). Le due iniziative fanno parte del ciclo di attività per la mostra al vicino Magazzino delle Idee "Tratti, ritratti e sogni", con 60 fotografie di Fulvia Pedroni Farassino, promossa dalla Provincia di Trieste e dedicata ad Alberto Farassino. Il quale, su "Repubblica", fu il principale promotore in Italia del Nuovo Cinema Tedesco a cavallo fra gli anni '70 e '80. Perché di nuovo Fassbinder? Perché di nuovo la sua vita di corsa, con 18 interpretazioni, 28 testi teatrali, 43 film in soli 37 anni di vita e 13 di attività, consumati fra cinema, teatro e tv, uomini, donne, alcol e droghe? Forse il suo enigma autodistruttivo può interessare ancora di fronte a casi come quelli di Heath Ledger o Philip Seymour Hoffmann. O forse perché il suo genio "larger than life" (più grande della vita stessa, come già quello di Orson Welles), sta avendo una nuova reincarnazione nelle provocazioni di Lars Von Trier. Non per nulla, Fassbinder diceva: «Vorrei essere per il cinema quello che Shakespeare fu per il teatro, Marx per la politica e Freud per la psicanalisi: uno dopo il quale nulla è come prima». In ogni caso, quella di Jürgen Trimborn è la prima biografia del cineasta, che ha raccolto le parole di Fassbinder e i ricordi dei suoi amici, e ha setacciato gli archivi per costruire un ritratto pieno di particolari inediti della sua vita estrema, che lascia parlare fatti, documenti e film. Ne emerge l'immagine di un uomo tirannico ma anche fragile, senza riguardi per se stesso e per chi gli sta intorno. Un grande artista che non ha mai perso di vista il suo desiderio più intimo: fare film. ©RIPRODUZIONE RISERVATA