Caso Biagi, ipotesi omicidio per omissione
di Maria Rosa Tomasello wROMA L'ipotesi è omicidio per omissione, il fascicolo per ora è contro ignoti. Ma con la nuova inchiesta della Procura di Bologna, il caso Marco Biagi è ufficialmente riaperto con l'obiettivo di accertare le responsabilità nella decisione di revocare la protezione al giuslavorista ucciso a Bologna dalle Brigate rosse il 19 marzo del 2002. Biagi era senza scorta da dicembre, nonostante le ripetute minacce accompagnate dalle ripetute richieste a politici, polizia, prefettura perché la tutela gli fosse restituita. Chi sapeva, secondo gli inquirenti, non fece il possibile per evitare l'omicidio e lasciò che il professore, consulente del ministro del Welfare Roberto Maroni, andasse in bici verso la fine. A far riaprire l'indagine sarebbe stato un documento ritrovato un anno fa dagli inquirenti romani nell'ambito dell'inchiesta sull'eredità dei Salesiani, nell'archivio di Luciano Zocchi, ex prete ed ex capo della segreteria di Claudio Scajola, l'ex ministro dell'Interno arrestato l'8 maggio con l'accusa di aver favorito la latitanza dell'ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena. Negli atti, trasmessi a Bologna, sarebbe stata rintracciata una lettera indirizzata a Scajola da un politico vicino a Biagi in cui si avvertiva che il professore era in grave pericolo. Ma il vero elemento di novità sarebbe un "visto" dell'ex ministro che, dopo l'attentato, sostenne invece di non essere stato al corrente dei rischi a cui Biagi era esposto. Due mesi dopo Scajola pronunciò la frase che lo costrinse a dimettersi: «Biagi era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza» disse, e fu travolto dalle polemiche. Dodici anni dopo a riaprire l'inchiesta è il pm Antonello Gustapane, lo stesso che nel 2003 chiese l'archiviazione dell'accusa di cooperazione colposa in omicidio per l'allora direttore dell'Ucigos, Carlo De Stefano, il suo vice Stefano Berrettoni, il questore Romano Argenio e il prefetto Sergio Iovino. Le Br - concluse all'epoca il gip - scelsero di colpire Biagi perché lasciato solo a causa di errori a livello centrale e periferico, ma senza rilievo penale. Torna adesso l'ipotesi iniziale: qualcuno sapeva e non agì. «Non sono mai stato sentito» da chi al Viminale fece la relazione sulla scorta a Biagi, dice Zocchi, «avrei potuto parlare di questo: ho conservato i documenti a mia tutela». Le carte, dunque, sarebbero sue, non di Scajola. Della vicenda avrebbe accennato all'allora segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone: «Gli parlai come a un padre spirituale, in modo sommario, mi disse di agire secondo coscienza». Zocchi è stato ascoltato nei giorni scorsi dai pm, che hanno sentito anche la moglie dell'ex ministro Maurizio Sacconi, all'epoca vicina a Biagi. I legali di Scajola, intanto, hanno depositato al Riesame l'istanza contro la custodia cautelare in carcere nella vicenda Matacena, ma l'ex ministro ha perso uno dei suoi difensori, Nico D'Ascola, senatore Ncd. La decisione, ha chiarito l'avvocato, è legata alla polemica «falsa e strumentale» sul presunto conflitto d'interessi in cui si troverebbe come relatore del ddl sui reati dei pubblici ufficiali. Domani, infine, è fissato a Reggio Calabria l'interrogatorio di Chiara Rizzo, moglie di Matacena, mentre da lunedì è prevista la trasferta in Liguria dei magistrati reggini per l'esame dell'archivio sequestrato a Scajola. ©RIPRODUZIONE RISERVATA