Il fascino dei Neanderthal sulle donne sapiens? Era fatto di forza e cultura
di CLAUDIO TUNIZ La fantascienza ci parla spesso dei nostri incontri inter-galattici con altre specie intelligenti dalle forme bizzarre: tutti si ricorderanno il bar di Guerre Stellari. Ma la scienza ci dice che l'incontro con altre specie intelligenti è probabilmente già avvenuto, proprio qui, sulla Terra: dagli ‘Yeti siberiani' ai minuscoli ‘Hobbit'. Anche se fino a poco tempo fa credevamo di essere gli unici esseri intelligenti del pianeta, oggi sappiamo che almeno altre tre specie umane (e forse più) hanno vissuto insieme a noi, e prima di noi. Analizzando il DNA degli unici umani sopravvissuti, e cioè di noi Homo sapiens, come ci siamo immodestamente definiti, si scoprono subito due cose molto interessanti. La prima è che, indipendentemente dal colore attuale della nostra pelle, siamo di origine africana, poiché siamo tutti riconducibili a un piccolo gruppo evolutosi in quel continente circa 200.000 anni fa, da forme umane precedenti. La seconda, derivata dalla scarsa variabilità del nostro Dna, è che circa 70mila anni fa, poco prima di uscire dall'Africa e popolare tutto il pianeta, siamo stati sull'orlo dell'estinzione. Ci eravamo infatti ridotti a poche migliaia di individui, a causa di un evento catastrofico: l'eruzione del vulcano Toba, in Indonesia. Il cambio climatico che ne è derivato ha probabilmente causato il nostro esodo dall'Africa, e ha forse fatto accelerare le nostre capacità cognitive. Sappiamo anche che questi pochi africani sopravvissuti riuscirono a disperdersi lungo tutta la fascia equatoriale, per centinaia di generazioni, cambiando colore della pelle e fisionomia, secondo le condizioni ambientali e la deriva genetica, raggiungendo prima l'Asia orientale, poi l'Australia, e infine le Americhe, 15mila anni fa. In questo lungo viaggio è difficile immaginare che non abbiano incontrarono gli altri umani che abbiamo recentemente scoperto: l'uomo di Denisova in Siberia e l'uomo di Flores in Indonesia, più l'uomo di Neanderthal, già scoperto a metà dell'ottocento: una specie che viveva in Europa ed in Asia prima di noi. Ma cominciamo da quest'ultimo. Essendo poco amante dei climi rigidi, Homo sapiens arriva in Europa solo 45.000 anni fa, durante un periodo più mite dell'era glaciale, quando Neanderthal occupava già da 250.000 anni un territorio che andava dal Mediterraneo alla Siberia. Esso è stato a lungo rappresentato come un nostro ascendente primitivo. Oggi, grazie a nuovi ritrovamenti, nonché ai progressi della genetica e delle scienze applicate all'archeologia, questo essere umano estintosi pochi millenni dopo il nostro arrivo comincia finalmente ad essere compreso. Robusto, dal corpo tarchiato, con la fronte spiovente, le arcate sopracciliari sporgenti e il cranio allungato all'indietro a forma di chignon egli non è affatto un nostro antenato. I nostri antenati erano africani, agili e slanciati, con il cranio rotondo, la fronte alta e la faccia dritta, con un mento ben visibile: proprio come noi. I Neanderthal non erano nemmeno dei trogloditi. Nella caverna di Divje Babe, in Slovenia, in uno strato geologico di 60mila anni fa, è stato trovato un osso di femore d'orso, apparentemente lavorato e con quattro buchi a distanza non casuale. Molti sostengono che si tratti di un flauto costruito dai Neanderthal. Le nostre analisi con la microtomografia ai raggi X – una super TAC - confermerebbero questa ipotesi. Nella caverna di Fumane, vicino a Verona, si è poi scoperto che i Neanderthal si adornavano con penne d'uccello. Sappiamo anche che avevano i capelli rossicci, la pelle chiara e che si dipingevano il corpo. In un sito francese a loro attribuito sono stati ritrovati strumenti d'osso per impermeabilizzare le pelli – un'invenzione che noi sapiens avremmo copiato da loro. È anche possibile che i nostri cugini – con cui abbiamo in effetti un antenato comune, un antico ominide ritrovato anche a Visogliano – avessero un linguaggio articolato, come si evince dalle nostre analisi di un osso ioide di Neanderthal, rinvenuto nella grotta di Kebara, in Israele. Infine, da studi recenti sappiamo che i Neanderthal seppellivano i loro morti. Esistono quindi abbastanza elementi per parlare di una cultura dei Neanderthal. Ma cosa conosciamo della nostra parentela attuale con i Neanderthal? Nel 2010 è stato finalmente sequenziato il loro genoma, usando i resti di un femore di 38mila anni fa, proveniente dalla caverna di Vindija in Croazia. Si dimostra che una piccola parte del genoma di Neanderthal, fino al 4%, è presente nel genoma di tutti i sapiens usciti dall'Africa. In particolare si confermerebbero rapporti tra le nostre donne e i loro uomini: non sappiamo se per effetto della loro maggiore forza fisica o del loro fascino, se così lo possiamo chiamare. Ma le sorprese non finiscono qui. Nel 2012, i ricercatori del Max Plank Institute di Lipsia hanno pubblicato il genoma di una terza specie umana, non ancora classificata, trovata nella caverna di Denisova in Siberia, che è diversa sia dai Neanderthal che da noi. Si è notato che molte delle varianti geniche dei Denisoviani sono condivise con le moderne popolazioni della Papuasia. Anche gli altri umani siberiani ora estinti avevano quindi avuto "incontri ravvicinati" con i nostri antenati africani, mentre questi ultimi si espandevano verso oriente raggiungendo il Pacifico. Infine, si pensava che solo la nostra specie avesse superato la linea di Wallace, quella fossa marina che ha sempre separato la fauna e la flora asiatica da quella dell'Oceania, anche durante le ere glaciali. Invece, nel 2010, in una caverna dell'isola di Flores, tra Bali e Timor, furono trovati i resti di una quarta, bizzarra, specie umana, classificata come Homo floresiensis, subito chiamato Hobbit, come il noto personaggio di Tolkien. Esso non superava il metro di altezza, avevano piedi enormi, lunghe braccia, e un cervello di dimensioni simili a quello dello scimpanzé. Sembra però che usasse strumenti litici. Anche la sua estinzione coincide con il nostro arrivo. E la sua origine rimane un mistero. Era forse un uomo arcaico, come Homo erectus, diventato nano per un 'effetto insulare': lo stesso che ci fa trovare elefanti nani nella Sicilia del Pleistocene? O si tratta di una variante di australopiteco, la stessa specie della piccola Lucy? Sfortunatamente non si è ancora riusciti ad analizzarne il suo DNA. Chissà se anche in questo caso si evidenzierebbe una frazione di Hobbit in alcuni di noi? In fin dei conti, il comportamento della nostra specie non ha mai cessato di meravigliarci. 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