Belgrado esclude sanzioni contro Putin

di Stefano Giantin wBELGRADO Nel conflitto geopolitico che si combatte sul limes dell'Ue, tra Ucraina, Russia e "Occidente", non prendiamo posizione. Non lo facciamo perché non possiamo, e non vogliamo, scegliere tra Bruxelles e Mosca. E malgrado la nostra strada conduca verso l'Ue, non avremo un atteggiamento poco amichevole verso la Russia di Vladimir Putin, trasformata dagli avvenimenti in Crimea in una versione aggiornata dell'impero del male reaganiano. Così ha parlato ieri Aleksandar Vucic, trionfatore delle recenti elezioni parlamentari in Serbia. Vucic, dopo qualche giorno di silenzio, è ricomparso in pubblico ancora con il titolo di primo vicepremier ma di fatto già con i modi da primo ministro, accanto al presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik. Dodik che ha osservato impettito, con attenzione, Vucic spiegare alla stampa la posizione che Belgrado terrà verso la Russia nell'ambito della crisi in Crimea, una posizione molto attesa in Serbia e soprattutto a Bruxelles. Serbia che, ha affermato il leader del Partito del progresso, «è e sarà sempre rispettosa delle norme del diritto internazionale e dell'integrità territoriale» delle nazioni, ma non si accettano lezioni da coloro che»in passato «hanno con facilità calpestato» quella della Serbia. Detto questo, Vucic ha rammentato che Belgrado «è sulla strada verso l'Ue», una strada che non sarà abbandonata dal futuro governo, al contrario. Ma quella via non impone alla Serbia di avere «una posizione non amichevole nei confronti della Russia», piuttosto consiglia di tenere un comportamento «bilanciato, responsabile e serio» in relazione alla crisi in Ucraina. E «ciò è tutto quello che posso al momento dirvi». Ma subito dopo è arrivata la traduzione. Malgrado le pressioni più o meno manifeste che arrivano da Bruxelles e non solo, la Serbia di Vucic pensa che «non sia responsabile» pensare di introdurre «sanzioni» contro Mosca. Ma Vucic non si è fermato, nella sua illustrazione delle linee della futura politica estera serba, alla questione ucraina. Ha infatti indirettamente risposto a Dodik, che ha criticato i «doppi standard» occidentali – quali le differenze tra Kosovo e Crimea? - e difeso la democraticità del referendum d'indipendenza della Crimea, «legale e legittimo», suggerendo che quella potrebbe essere la strada da seguire anche in Republika Srpska, «quando sarà il tempo» per farlo. La Serbia, la replica del leader conservatore serbo, rispetta gli accordi di Dayton e l'esistenza stessa della Bosnia-Erzegovina unita. E lavorerà sempre per «proteggere la stabilità e l'esistenza stessa della Republika Srpska», con cui non ci sono differenze di visione politica. Ma come dimostrano le parole di Dodik, e non solo, la crisi in Crimea sta provocando reazioni a centinaia di chilometri di distanza, in Paesi e regioni dove i conflitti sono spesso solo sopiti, congelati. E Vucic e il suo governo sicuramente dovranno prendere sul serio anche le dichiarazioni che arrivano dal Sud della Serbia e che hanno scatenato un'aspra discussione a Belgrado. «Se Mosca vuole la Crimea, allora Tirana e Pristina devono unirsi» portando con sé la «valle di Presevo», regione serba abitata in maggioranza da albanesi ma «storicamente da sempre parte del Kosovo» e già teatro nel 2001 di un mini-conflitto tra guerriglieri irredentisti e forze di Belgrado. Parola di Jonuz Musliu, presidente dell'assemblea di Bujanovac ed ex leader dei ribelli albanesi. Dichiarazione che certo non giova alla stabilità della Serbia e della regione balcanica. ©RIPRODUZIONE RISERVATA