Dentro l'ex manicomio ascoltando con gli occhi tante storie "normali"
di PINO ROVEREDO Bisogna essere educati quando si entra nel dolore degli altri, e poi bisogna anche avere la cura cortese di usare il saluto largo, la coscienza aperta, il passo lento, e ricordarsi di sostituire l'arroganza del sapere con la volontà umile del conoscere. Bisogna munirsi di rispetto quando si scavalca il muro dell'ignoto e si entra nella memoria degli esclusi, quelli che confusi nell'incrocio degli anni senza tempo, continuano a reclamare il diritto della dignità, e che con la voce del silenzio, urlano la loro paura di essere dimenticati nell'offesa pesante e atroce dell'amnesia. Bisogna soprattutto allenarsi la pazienza degli occhi e adattarsi con l'ascolto delle immagini, quando si entra in quelle storie senza titoli e capitoli, perse nell'aria antica della restrizione a disposizione dell'intelligenza sana dell'uomo, quello che con una mano incassava lo stipendio e con l'altra, quella che accarezzava i figli in casa, si cancellava l'uso della coscienza e praticava la bestialità della violenza. Quando entrate in quei posti di dolore, come l'ex ospedale psichiatrico di Gorizia, lasciate che le immagini parlino ai vostri occhi, e poi riempitevi gli sguardi con i deliri senza giustizia, con le vite senza vita incastrate negli archivi, con i muri della vergogna che hanno nascosto e omesso le atrocità, e ancora, con la fatica dei dolori, le speranze senza trama, le lacrime nascoste, le verità senza voce, e ogni tanto, la rinascita di un sorriso, l'orgoglio di una vittoria, le scritture in bella copia di una cronaca buona di abbattere i muri della costrizione, l'ottusità dei sani, e la tremenda convinzione che, meno se ne parla di certe faccende, e più queste girano lontane. Le faccende, i ricordi, quelli nascosti nella cantina della memoria dove la verità ha smarrito la sua luce… Quando si entra nell'archivio dell'ex manicomio, ti assale la forza di un silenzio rumoroso, un silenzio pieno di voci che, col tono del lamento, il sussurro della rassegnazione, e con una rabbia che ha perso l'urlo, ti invadono la sorpresa chiedendoti il motivo di quel loro assurdo internamento. Quando apri i cassetti dell'archivio dell'ex manicomio, vedi uscire nuvole di polvere e tracce di destini segnati e marchiati col timbro di numero, codice, diagnosi, e poi, dal giallo antico delle cartelle, senti uscire le storie con l'urgenza della parola… Negli archivi dei manicomi scorrono le urla dei deliri, senza che riescano ad imboccare la strada di un'attenzione, i lamenti catturano l'uso della parola, e le orecchie il disuso dell'ascolto… Nei cassetti della vergogna, vecchie scritture raccontano di una dignità sequestrata da un divieto d'entrata, e dei destini liberi di frequentare la vergogna di non vergognarsi… Nei manicomi, l'esistenza e la scomparsa si riflettevano nello stesso specchio, nei manicomi, la vita valeva come il numero di una cartella, e la morte come la disponibilità di un altro letto libero… Nei manicomi, Cristo non c'era, e se c'era, era talmente distante e distratto che lo si poteva persino bestemmiare… Oggi girano altri colori nell'ascolto degli occhi… Hanno abbattuto i cancelli, distrutto le camicie di forza, squalificato le arroganze mediche e le violenze infermiere, e poi in coro hanno urlato il valore di una "libertà terapeutica". Hanno staccato la corrente dagli elettroshock, fatto sparire la vergogna barbara dei letti di contenzione, e poi, scordandosi le colpe dei vecchi giustizieri, hanno dipinto i ricoveri col rispetto colorato della giustizia. Hanno spento un'infamia sociale, e acceso una rivoluzione umana. Quanto entusiasmo quella volta, tanto, poi, appena passato il fuoco della novità, l'abitudine si è addormentata sui colori senza colore perché, se è vero che hanno chiuso i manicomi, è vero anche che molti disturbi sono rimasti, anzi, forse aumentati… Ascoltare con gli occhi, le parole al volo, raccolte nei percorsi in salita di chi, oltre alla fatica della malattia, deve difendersi anche dalla stupida moralità dei presunti sani. Parole rubate dentro l'urgenza di uno sfogo, e che spesso corrono il rischio di rimanere incastrate in bocca e nell'intenzione, perché nessuno deve sapere, nessuno deve capire, intuire, ma soprattutto, nessuno si può permettere di maltrattarle nel gioco dello sputtanamento. Parole lunghe come un monologo, parole sussurrate con la voce del pudore, parole secche e precise come un dissenso, assenso, e parole mescolate nella voragine del silenzio, perché nei luoghi della fatica anche il silenzio acquista una voce e un senso. Sono un matto del '23, un alienato del '36, un pazzo del '52, un nevrotico del '64, uno schizofrenico del '71, un depresso del 2000! Noi siamo, siamo stati e continueremo a essere i protagonisti di un disturbo umorale che, per una pigrizia mentale, sociale e culturale, continueranno a girare dentro il timore di un ricovero, lontano dai panorami, e rigorosamente nascosti e sorvegliati dalle mura alte del manicomio. Sì, le mura alte e feroci del manicomio, quelle materialmente abbattute e moralmente mai demolite, perché i manicomi non sono mai finiti, hanno solo aperto i cancelli e sparso sopra la dolcezza di un trattamento, per il resto non è cambiato niente se è vero che i sentimenti immobili di sofferenza, vergogna e paura, non si sono mossi di una virgola. Noi, purtroppo, cari signori, siamo, siamo stati e continueremo a essere… i figli stretti e costretti di un luogo comune! I matti sono pericolosi, i pazzi sono violenti, gli schizofrenici fanno paura, e i depressi sono una noia assolutamente da evitare! Eppure… Noi, come voi, viviamo l'amarezza del pianto, la gioia del sorriso, la malinconia della pioggia, l'euforia del sole, come voi, apprezziamo la bellezza di una carezza, la compagnia delle parole, la salvezza di un abbraccio, e come voi abbiamo un cuore che s'innamora, un sentimento che si addolora, e uno stato d'animo che si adegua alle circostanze della vita. Noi, e ve lo giuro sulla mia sofferenza, non siamo pericolosi, e non siamo nemmeno contagiosi, noi, molto più banalmente e semplicemente, siamo degli esseri umani. Perciò… Quando passate davanti a quelle mura che non sono mai crollate, rallentate il passo, accendete gli occhi, abbattete le vostre barriere, e se riuscite dedicateci la solidarietà degli ospedali, e non la pietà bassa dei manicomi, toglieteci dalla presunzione dei diti puntati e fateci accomodare nella pazienza di una ragione, e se vi avanza il tempo minimo di un calcolo, sommate una sofferenza con il diritto di vivere e poi… poi giudicate! Buon viaggio! ©RIPRODUZIONE RISERVATA