«Ma qui la vera giuria è quella del tempo»

di Maria Rosa Tomasello Nove partecipazioni al Festival, due vittorie ("Si può dare di più" nel 1987 e "Mistero" nel 1983), premi della critica a ripetizione, da "Quello che le donne non dicono" a "Nessuno tocchi Caino". Stavolta però Enrico Ruggeri, in tv con Lucignolo e alle prese con le prove del tour 2014 Frankenstein 2.0, si è tirato fuori: «A Sanremo sono già stato, non si può fare tutto». Ma venerdì 21 febbraio, nella serata dedicata alla grande canzone d'autore, ci sarà la sua musica, con Giusi Ferreri che canterà assieme ad Alessio Boni e Alessandro Haber "Il mare d'inverno". «Mi fa piacere, evidentemente ha resistito all'usura del tempo». Ha fatto capire di non essere interessato al Festival: è un no definitivo il suo? «Per essere della parrocchia dei cantautori "seri" sono tra quelli che ci è andato più spesso, ma non è che uno tutte le volte può andare a Sanremo. Tenuto conto anche che Sanremo non rappresenta più una vetrina promozionale infallibile: una volta faceva 18 milioni di spettatori e il disco andava primo in classifica, in una settimana facevi la promozione di tre mesi. Con "Si può dare di più" (1987, con Umberto Tozzi e Gianni Morandi, ndr) la mia casa discografica revocò la cassa integrazione agli operai e poi passò ai doppi turni per stampare le copie. Oggi non è sempre così». Quindi dice basta? «Magari mi piacerebbe più organizzarlo e condurlo che cantare, per vedere se è così difficile coniugare qualità con ascolti. Costruire una gara che riesca a far divertire anche i cantanti, senza che si sentano messi in discussione dopo che hanno lavorato a un progetto. Anche se il brivido di vuole». Ma lo guarderà? «Ho i concerti, devo girare Lucignolo (domenica su Italia 1, ndr), ma sì, appena potrò. Uno dei miei meccanismi artistici è guardarlo per capire dove va la musica per provare ad andare dalla parte opposta. Nel 2002 portai "Primavera a Sarajevo", un pezzo rock tirato un po' ska con la fisarmonica. Due o tre anni dopo un cantante su due aveva la fisarmonica. E così capisci che è il momento di cambiare». Inutile aspettarsi sperimentazioni quindi? «Non so, io non ho sentito una nota: in questi casi si rischia di fare brutta figura, magari arriva il colpo di genio». Uno dei criteri indicati da Fazio è la contemporaneità. Musica "da scaricare". «Molti si sono accorti che se non si aiuta la musica, muore. C'è un cambio epocale, dal possesso si è passati all'"accesso": il grande tema per l'industria e per chi fa musica è ripartire i diritti secondo criteri diversi». È ai giovani che pensi si possa guardare con più interesse? «Lo sento da vent'anni: certe volte succede, certe no. Quest'anno per esempio c'è un cantautore, Zibba, che avrebbe potuto andare tra i big, nel senso che l'asticella è piuttosto bassa: non devi essere strafamoso, ma aver fatto cose interessanti. E mi pare oggettivo che quest'anno la differenza tra big e giovani non è così marcata». Promuovere la musica in un Festival tv ha ancora senso considerato che la fruizione oggi passa per altri canali? «È un dato con cui tutta la tv fa i conti. Il vero competitor è Internet». I temi dei pezzi sono i soliti, amore, sentimenti. È impossibile sfuggire ai cliché? «Con "Nessuno tocchi Caino" (2003) io portai in sala stampa Leroy Orange, che era stato per 14 anni nella cella della morte e poi graziato, ma i giornalisti non avevano voglia di parlarne. Oggi non lo rifarei. Certi argomenti non interessano, l'impressione è che si cerchino gossip, storielle. Ma tentativi sono stati fatti: penso a Faletti, con "Signor tenente". Cristicchi ha vinto con una canzone sui matti». Perché i cantautori continuano a girare al largo? «Per vari motivi. Per snobismo. Perché alcuni non sono grandi performer e lì ti giochi tutto in tre minuti, o giudicano un controsenso andare ed essere eliminati dopo dieci album di successo. A me non è mai capitato di sbagliare, "L'amore è un attimo" è il pezzo che è passato meno, chi mi segue gli altri se li ricordano tutti. E Sanremo ha tre classifiche: quella delle giurie, quella delle vendite, ma soprattutto quella del tempo». ©RIPRODUZIONE RISERVATA