Il vicepremier serbo chiede il voto anticipato
di Stefano Giantin wBELGRADO Dimissioni di uno dei ministri di punta del governo di recente "rimpastato", anche se ancora non ufficializzate. E voto anticipato, ormai fatto quasi assodato, a metà marzo. Grandi sommovimenti sono in corso in Serbia, dove ieri è stata registrata una accelerazione significativa di alcuni importanti processi politici da tempo avviati. Il principale, quello che dovrebbe portare gli elettori serbi alle urne per eleggere un nuovo governo perché è giunto il momento di «chiedere conto al popolo». Parola di Aleksandar Vucic, vicepremier serbo e leader dei Progressisti (Sns), partito accreditato dai sondaggi dei favori di oltre quattro serbi su dieci. Vucic che ieri, durante il congresso dell'Sns, ha specificato di giudicare buona l'opera dell'attuale esecutivo a guida Dacic, ma «penso che in futuro possiamo fare meglio». Fare meglio dopo che i serbi saranno andati al voto, verosimilmente il 16 marzo – in contemporanea con le elezioni locali a Belgrado -, garantendo all'Sns un'ampia maggioranza. E a Vucic la poltrona di primo ministro, come tutti i bookmaker pronosticano. Vucic che ha inoltre aggiunto che sottoporrà oggi alla riunione della presidenza dell'Sns la proposta di elezioni anticipate. Come hanno reagito i principali partner di maggioranza, i Socialisti del premier Dacic? «Siamo pronti al voto», ha affermato la vicepresidente dell'Sps, Slavica Djukic Dejanovic, mentre Dacic da parte sua ha auspicato che il voto non rallenti il cammino dell'integrazione europea della Serbia. L'altra spinta in avanti? Le dimissioni del ministro tecnico dell'Economia, Sasa Radulovic, anticipate ieri dai maggiori media serbi e dal suo entourage. Dimissioni inevitabili per l'economista Radulovic, secondo vari analisti isolato all'interno dello stesso esecutivo, attaccato dai sindacati serbi a causa della diatriba sulla legge sul lavoro, il cui congelamento era stato annunciato nei giorni scorsi da Vucic, e impossibilitato a portare avanti le riforme da lui ritenute fondamentali, tra cui quella sulle privatizzazioni. Riforme, la più contestata era quella sulle norme che regolano i diritti dei lavoratori, che sono tuttavia state assai mal recepite dai rappresentanti sindacali. Rappresentanti che venerdì erano riusciti a portare in piazza nella capitale serba almeno 3mila iscritti, sul piede di guerra contro Radulovic. ©RIPRODUZIONE RISERVATA