Vanna Vinci trasforma "Il richiamo di Alma" in una storia disegnata

di Alessandro Mezzena Lona Le son bastate poche ore per innamorarsi del libro. E più di dieci anni per trasformarlo in un romanzo a fumetti. Ma adesso, Vanna Vinci ha realizzato uno dei suoi sogni d'artista: far diventare "Il richiamo di Alma" di Stelio Mattioni una storia a fumetti. Che "Il Piccolo" pubblicherà a partire da domani, e fino alla fine di settembre, dedicando ogni settimana due pagine, il sabato e la domenica, all'opera inedita. Cagliaritana con casa a Bologna, innamorata di Trieste al punto da ambientare in città il suo splendido romanzo a fumetti "Aida al confine", Vanna Vinci ha scoperto il romanzo di Mattioni all'inizio degli anni Duemila. Da allora ha continuato a sognare di trasformarlo in una storia a fumetti. Senza smettere di seminare sul suo percorso lavori importanti come "Lillian Brown", "Una casa a Venezia", "Gatti neri gatti bianchi", fino alla recentissima, strepitosa "Marchesa Casati". Tra i premi ricevuti, lo Yellow Kid e il Lucca Comics l'hanno segnalata come uno dei grandi autori italiani. "IL richiamo di Alma", pubblicato da Adelphi nel 1980, è uno dei romanzi più enigmatici e belli di Stelio Mattioni, lo scrittore triestino morto nel 1997. Entrato in finale al Premio Campiello, racconta la storia degli incontri impossibili tra la figura del narratore e una ragazza. Sfuggente, misteriosa, irresistibile. «Era l'inizio del Duemila e mi preparavo a scrivere "Aida al confine" - racconta Vanna Vinci -. La storia si svolgeva per intero a Trieste: così mi sono messa a leggere un sacco di libri per cercare di capire l'anima della città. Tra questi, uno dei romanzi che mi ha colpito di più è stato "Il richiamo"». Perché? «Subito, leggendolo, ho provato la sensazione che dentro quel libro ci fosse il segreto di Trieste. Questo girovagare ossessivo per le strade, questo citare i nomi delle vie per provare a scoprire il mistero di Alma, finiva per trasformare ai miei occhi la città in un personaggio cardine della storia stessa». Ma la vera protagonista è Alma... «Certo, però quel suo essere incomprensibile e, al tempo stesso, sfuggente mi è sembrata subito la rappresentazione di quello che per me è Trieste. Vicinissima, eppure estranea». Il narratore le prova tutte per raggiungere la ragazza. «E io ho comprato tutti i libri, ho girato con attenzione maniacale per le strade, provando una sorta di ossessione per la città». Dal romanzo al fumetto: una bella sfida? «Credo che Alma si presti bene a una versione disegnata. Il libro è molto visivo, con descrizioni precise, con una sequenza di fatti incalzante. Lo scrittore non riempie le pagine con riflessioni filosofiche. Racconta». Ha scelto uno stile classico? «Certo, perché nel romanzo non ci sono effetti speciali. La narrazione scorre rettilinea. Ricorda certi racconti di Rudyard Kipling pubblicati da Adelphi nel volume "Storie proprio così". Anche la tentazione dell'irrazionale che pervade tutto il romanzo è tenuta sempre sotto controllo». Anche la colorazione è molto controllata... «Sì, perché volevo dare forma a quella sorta di foschia che avvolge tutta la storia. Una lattigine che sfuma tutto, che semina dubbi, che non spiega. Matite grasse e acquarelli mi sono serviti a ottenere questi colori». Per disegnare Alma a che cosa ha pensato? «Ho pensato che è un personaggio senza una faccia definita. Lo scrittore la racconta con la convinzione che sia sempre lei, ma che non sia mai uguale a se stessa. Mi hanno colpito soprattutto gli occhi: fin dall'inizio descritti come grandi, nerissimi, ma che più in là diventano come d'acqua. Serviva mettere una sorta di lontananza dentro il suo volto». E Trieste? «Ah, Trieste. È già perfetta così per essere raccontata. Ho cercato di rispettarla al massimo, descrivendola come la vedo. Però è chiaro che, di tanto in tanto, mi sono lasciata andare alla visione di certe strade, di certi angoli com'erano un tempo. Frammenti di passato nello stato delle cose presente. In una scena, quando lo scrittore entra in una casetta e trova una bambina, mi è ritornata alla memoria la Praga magica di Angelo Maria Ripellino». Un passo indietro: da dove è partita? «Sono nata a Cagliari, ho fatto il Liceo scientifico. Dopo un anno di Odontoiatria, all'Università, ho cambiato strada frequentando l'Istituto europeo di design di Milano. Da lì, ho iniziato a lavorare come grafica nella mia città». E le storie a fumetti a che punto arrivano? «Dopo alcune storie brevi su "Fumo di China", nel 1990 ho pubblicato "L'altra parte" con Granata Press». Disegnava fin da ragazzina? «In realtà, non sono mai stata una grande lettrice di fumetti. A cambiarmi la vita è stato Hugo Pratt. Dopo aver letto le sue storie brevi di Corto Maltese ho provato il desiderio di raccontare anch'io con i disegni. E da lì sono nati "Ombre", "Guarda che luna", "Lillian Brown"». Pratt è stata la sua grande scuola? «Io credo che, per un lungo periodo, non ho fatto altro che esercitarmi a copiare le sue storie. Poi, tutti quei neri fantastici che riempiono le tavole di Pratt sono spariti dal mio stile. E io mi sono scoperta in sintonia con la grande tradizione del fumetto italiano: Crepax, Dino Battaglia, Attilio Micheluzzi». E Grazia Nidasio? «La disegnatrice di Valentina Melaverde, della Stefi, per me è stata un punto di riferimento fondamentale. Alla fine il mio stile ha inglobato anche Frank Miller, Bill Sienkiewicz, certi grandi autori di manga». Ama raccontare storie di destini umani... «E di sentimenti. In "Aida al confine" c'era il dialogo con la Morte, con chi è stato prima di noi. Mi piacciono le storie lievi che costringono i personaggi a confrontarsi con se stessi». La Bambina Filosofica? «Quello è il mio eccesso. Molto autobiografico. Dice cose che non si dovrebbero mai dire. E piace, soprattutto al popolo del web». E la Marchesa Casati? «L'ho scoperta, per la prima volta, in una mostra a Padova dedicata a Giovanni Boldini. Ho iniziato a raccogliere un po' di materiale su di lei, fino a proporre all'editore francese Dargaud di disegnare una sua biografia. Non sapevano niente di lei, eppure hanno accettato». Un libro che sembra un film? «Ho voluto far raccontare il personaggio della Casati da chi l'ha conosciuta davvero. Come se la storia a fumetti scorresse sullo schermo sotto gli occhi dei lettori». emalemezlo ©RIPRODUZIONE RISERVATA