CERCANDO LA DALMAZIA
di EMILIO RIGATTI Dalla Brazza/Brac a Lesina /Hvar (paese di Mlin: 5 luglio. Dai torrioni verticali della Vidova Gora le pendici brulle scendono piegandosi in valli allungate e ripide ma dalla sezione dolce. Su questi grembiali di pietra dalle pendenze feroci degli eroi del vino hanno seminato dei grandi quadrati verdissimi di velluto a coste. Sono le vigne del bolski plavac, il vino di qua. La traversata dalla Brazza/Brac a Lesina/Hvar è più breve dell'altra e ce la caviamo con un'ora ballerina sulle onde. Doppiamo il capo nordoccidentale e pieghiamo verso sudest quando un enorme yacht – di quelli denominati "ferri da stiro" - ci passa poco distante. Il "Phoenix 2" è la barca del genere più grande che abbia mai visto. Gli omini che spazzano una specie di spiaggia in mogano, nella parte posteriore, sembrano delle formiche, poi un elicottero atterra comodamente sul ponte di prua. In porto a Lesina ci mettiamo a fare gli spiritosi chiedendo a gran voce l'elicottero in prestito, ridendo come scemi, ma due addetti della capitaneria si avvicinano e ci invitano a smammare. Così andiamo a sbarcare presso la chiesa di San Francesco. Oggi è il compleanno di Mariano e il regalo è una passeggiata per le vie lastricate e lucide, tra le calli in ombra e la lunga piazza candida che ha come sfondo l'elegante chiesa. Con un caffè e un gelato in un bar è placata la nostra sete di mondanità, imbarchiamo con la calma e andiamo ad accamparci nel villaggio di Mlin, qualche chilometro a sud. Ci concediamo un'onorevole cena di pesce al "Milina", a fianco di una tavolata multietinca di americani, indiani e bambini di tutti i colori di Benetton. I due papà, l'indiano e l'americano, indugiano al tavolo dopo la partenza delle famiglie, restii a terminare una maratona enobirrologica che li vede provati e commossi. Da uno straccio di conversazione sento che stanno parlando di Dio. Poi li vedo andar via zoppicando: probabilmente dalla gamba teologica – esisterà o no? – e certamente da quella fisica. 6 luglio Mlin – Smrska Uvala ("Baia dell'Argentino"). Le meraviglie del viaggio crescono in progressione, giorno dopo giorno, e ci accompagnano in una wunderkemmer geografica senza fine. Attraversandola provo la sensazione un po' onirica e un po' infantile di scoprire un tesoro, una grotta dietro la cascata. Oggi la camera delle meraviglie assume l'aspetto di una teoria di scogliere che sorgono da un mare di una purezza impensabile, vetrosa, che a volte sprofonda improvvisamente in dei blu così saturi da far pensare allo zaffiro. Ogni tanto faccio un eskimo e guardo il colore del mare a testa in giù, rimpiangendo di non avere una maschera da sub. Quelle pietre superbe, che sfioriamo per poterle toccare, sono spesso accatastate in collassi giganteschi, colonizzati da arbusti e pini, rivelano spaccature verticali e trasversali in cui ogni tanto si aprono delle grotte. Entriamo in tutte quelle che incontriamo, attoniti per la luce azzurra che riverbera sulle volte di mosaici di agglomerati, e quando usciamo il sole impietoso ci acceca. La nostra meta di oggi è un campeggio segnalato dalla carta di Mariano ma, una volta arrivati nel luogo indicato, dei pescatori ci dicono che non esiste. Passiamo di baia in baia finché ci appare un presepio di case di pietra che si affaccia sul mare. C'è movimento serale attorno alle poche case, i comignoli fumano. Degli uomini bevono sotto la pergola, delle donne si affaccendano, i bambini saltano in acqua da un molo in cemento. Sbarchiamo, ci togliamo i salvagenti, tiriamo in secca le barche, sotto gli occhi curiosi della gente. Io mi presento davanti a un gruppo di persone – sono di tutte le età - con le bottiglie di plastica vuote. «Posso riempirle?», le domande sul nostro viaggio si susseguono, gli sguardi diventano benevoli. «Un campeggio?» mi dice un signore rasato a zero, con l'orecchino e l'aria saracina, «non mi risulta». Capisco che non è croato e mi pare di cogliere nella sua cadenza l'accento di Buenos Aires. Sparo senza pensare: «Eres argentino?». Mannaggia, l'ho beccato, Jorge Arias è proprio un boariense, a cui non pare vero di poter parlare spagnolo. Bastano pochi minuti per accendere una chiacchierata emozionante, unica e così fuorirotta da elettrizzarci: Benedetti, Mercedes Souza, Borges, Sabato, Octavio Paz, Rulfo, Soriano. Amiamo gli stessi poeti e scrittori e gli stessi libri. Discutiamo su Borges, stoniamo strofe di tanghi e ricordiamo la passione di Gardel per la Colombia. E che ci fai qui, Jorge, in questa baia che stasera è un pezzo di America Latina? gli chiedo. Una donna croata, più giovane di lui, lo ha incontrato cinque anni prima in Cile, su un bus per Valparaiso. È nato l'amore, è nato un bambino, e lui ha lasciato i suoi due lavori – clown di strada e tecnico di dialisi - e ha seguito Daniela a Zagabria. Non sono mai scesi da quel bus e si capisce a pelle che sono felici, lei a insegnare al liceo e lui a fare il "moglio" a casa. La tribù dei Bonkovich, signori di Smrska Uvala – così si chiama la baia - ci danno il lasciapassare per tutto. Acqua, campeggio, un bicchierino per Mariano e "jamnica" gasata per me. Dopo una cena disdicevole a base di pasta maltrattata Mariano monta la tenda, ma io ormai mi sto facendo risucchiare dall'abisso stellato. Stendo sulla sabbia il materassino e mi lascio galleggiare nel buio punteggiato di scintille. 7 luglio Smrska Uvala (Lesina/Hvar) - Loviste (Sabbioncello/ Peljasac). Jorge scende a salutarci di buon'ora con il piccolo Rocco e ci salutiamo cantando a mezza voce «Adios muchacho companeros de mi vida, barra querida de aquellos tiempos...», uno dei tanghi più celebri di Gardel. Cortocircuito in testa: mia moglie a Bogotà, mio figlio ad Addis Abeba, io qui, appena sgusciato da una notte all'addiaccio che stono un tango con un clown argentino, finito qui per amore. Se ti muovi, tutto comincia a muoversi attorno a te. Ma anche dentro, c'è un sistema stellare che si muove in risonanza. Sento un po' la fatica dello stupore continuo, dell'immediatezza selvatica di questo viaggio che entra a far parte del "sistema Emilio"... Dopo gli otto chilometri di traversata verso Peljasac/Sabbioncello, con un maestrale in crescendo, doppiamo la punta estrema di questa penisola e, al fondo di una baia verdeazzurra, Mariano scorge una casetta di pietra. Non ci sono segni evidenti che si tratti di una trattoria, ma il mio compagno, non so come, lo capisce. Alla trattoria "Estravaganca" (scritta così, alla croata) di Duba Uvala ci sono un po' di tedeschi birreggianti, un vento che scuote le cannelle della tettoia e profumi di pesce fresco sulle braci. Coroniamo la traversata con un polipo in campana di ferro con le patate. Altro che la pastaccia di ieri. Poi le palacinche e il caffè e infine la siesta, forse troppo lunga. Sì, perché il maestrale si è fatto teso, il mare è pieno di gattini e una incerta navigazione di poppa ci accoglie appena fuori della baia. Vedo Mariano in difficoltà, ogni tanto delle onde ci arrivano da dietro e ci troviamo con l'acqua che annega il paraspruzzi e che ci sbilancia. Io recupero una scuffia con una spazzata di pagaia che mi salva, ma per un pelo. Scopro che Mariano non sa fare i salvataggi a due, né le altre manovre fondamentali che ho imparato al CKF, il mio club di eschimesi adriatici. Dobbiamo trovare uno sbarco che si materializza nell'improvviso e inaspettato abbraccio di una una spiaggia, l'unica che si apra tra queste scogliere. Siccome rinforza decidiamo di mettere il campo qui. Che naufragio delizioso: leggo, scrivo al computer, mi faccio tramontare dal sole che sparisce tra le onde. Lo chef Mariano consiglia e obbliga a una cena a base di riso basmati, banane e scatolette di tonno. Stendo il materassino tra due rocce. Ancora cielo: mi metto a pescare meteroriti, a inventarmi costellazioni, a pedinare satelliti e aerei silenziosi che incrociano le stelle. Il vento è forte e caldo, la Luna sempre più sottile. Speriamo che domani il maestrale cali. Ma anche no. Qui è bellissimo, ho da leggere e da scrivere, e abbiamo acqua per tre giorni e cibo per dieci. Di una cosa sono certo: alla fine di questo viaggio avrò visto più cielo stellato che non in tutto il resto della mia vita. (2 - Segue. La prima puntata è stata pubblicata il 20 agosto) ©RIPRODUZIONE RISERVATA