«Farmaci su microastronavi per sconfiggere il cancro»
di Maria Cristina Vilardo wGRADO Nanochip capaci di rivelare in tempo reale lo stato di salute del paziente, nanoghiandole intelligenti con un sensore che capta sottopelle ogni mutamento nel suo organismo, nanoparticelle multistadio che contengono come matrioske le dosi del farmaco da rilasciare gradualmente per il tempo necessario alla cura. Michele Cucuzza ha potuto osservarli nel cuore scientifico di Houston in Texas, il Methodist Hospital Research Institute, uno dei luoghi più all'avanguardia nel mondo per la lotta contro i tumori. Lo dirige Mauro Ferrari, a cui Cucuzza ha dedicato il libro "Il male curabile" edito da Rizzoli, che presenteranno assieme domani alle 18 al Gazebo della spiaggia principale di Grado, aprendo la rassegna "Libri e autori a Grado" di Paolo Scandaletti (in caso di maltempo al Cinema Cristallo). Mauro Ferrari è l'alchimista mondiale delle nanotecnologie applicate alla medicina. Una storia, la sua, cominciata come una missione, come un atto di fede, dopo che un tumore gli ha portato via la prima moglie Marialuisa, trentaduenne, udinese come lui (che ha radici paterne a Gallipoli e materne a Turriaco) e come la seconda moglie Paola. Ferrari è attorniato da un pool di giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, matematici, chimici, biologi, ingegneri, medici. I nanofarmaci che stanno mettendo a punto fluttuano nella dimensione del nanometro, pari a un milionesimo di millimetro. «I vari cancri all'interno del corpo - spiega Ferrari - hanno mille modi diversi per essere raggiunti. Indipendentemente dal tipo di farmaco che si vuol portare, le caratteristiche del trasporto sono di estrema importanza. Sono state ignorate nella scienza medica perché finora non c'erano gli strumenti, e adesso la nanotecnologia aiuta a scegliere il mezzo di trasporto giusto. Qualche volta è il carretto, qualche volta si va a piedi, altre volte bisogna prendere l'aereo o andare con la nave, con la teleferica, con il sommergibile, con l'astronave. Quale sia il farmaco che viene veicolato è veramente poco essenziale, quello che conta è portarne abbastanza nei posti giusti, nel modo giusto, risparmiando le parti sane del corpo». Un concetto ricorrente nelle parole degli scienziati del Methodist riguarda la personalizzazione della cura. «È necessaria, - afferma Ferrari - perché c'è un aspetto umano che si accompagna alla scienza ed è, secondo me, imprescindibile. La caratteristica fondamentale del cancro è di essere geneticamente instabile, quindi le trasformazioni sono continue. Parliamo di tumore al seno, come se il tumore al seno fosse una malattia. Sono centomila malattie, sono tante malattie quanti i momenti del giorno delle persone che ce l'hanno. Dunque non c'è un modo per curare il cancro che non sia attraverso la personalizzazione, altrimenti il problema della metastasi non si risolverà mai». «Dalla goccia di sangue - continua - si potrà individuare non solo se c'è un tumore ma anche a che punto è, dov'è, quali caratteristiche ha. Oggi i protocolli che sono multifarmaco funzionano in meno del 50 per cento dei casi, ma soprattutto fanno un danno incredibile al paziente. Perché non sappiamo a priori quale protocollo può funzionare, perciò se parti con quello sbagliato e bastoni di chemioterapia il paziente per sei mesi, la sua capacità di sopportare i protocolli consecutivi potrebbe essere limitata. Quindi è estremamente importante poter vedere subito, sin dalla goccia di sangue, se il farmaco o il protocollo è in grado di funzionare». In un laboratorio attiguo al Methodist, chiamato La Caverna di Platone, si proietta su un grande schermo l'ologramma dell'interno del corpo umano, ossia la sua immagine virtuale e tridimensionale, particolarmente significativa rispetto alla risonanza magnetica e alla Tac, che riescono a catturare soltanto il 5% di quelle che sarebbero le informazioni utili. «Il fatto di poter ragionare a immagini, letteralmente viaggiando attraverso il corpo proiettato su un grande schermo, è veramente molto importante. Ci permette di panificare la cura con il paziente e di superare il paternalismo in medicina: «Io dico a te cosa devi fare perché sono dottore, ho il camice. Devi fare quello che dico io. È il modo di fare di una certa medicina, che per fortuna sta scomparendo piano piano». Perché gli ammalati possano godere delle medicine e delle tecnologie più avanzate è indispensabile, secondo Ferrari, che si accenda anche la voce della comunità. «Con un po' di buona volontà e un po' di risorse - conclude - tutti possono avere questi strumenti, che noi già utilizziamo e che sono disponibili. La questione è dove si vogliono investire le risorse e mettere le priorità. Dev'essere una scelta sulla base dei voleri della comunità stessa, che però deve sapere quali sono le possibilità e poi deve farsi sentire. Non si può sempre stare ad aspettare che il governante buono decida le cose giuste. Bisogna darsi un po' da fare, chiedere, parlare, scendere in piazza non solo metaforicamente ma fisicamente». ©RIPRODUZIONE RISERVATA