Pahor e Svevo, due scrittori come pianeti lontanissimi

yy Con gli occhi puntati sul mondo di Ettore Schmitz La rivista "Aghios" è nata con un'idea precisa in testa. Quella di mettere a fuoco l'enorme apparato di contributi, studi, ristampe delle opere di Italo Svevo. Diretta da die dei massimi specialisti sveviani, Giuseppe A. Camerino e Elvio Guagnini,, nei sei numeri finora pubblicati ha proposto una serie di contributi davvero pregevoli. Sono da citare senza dubbio i saggi di Brian Moloney "Montale su Svevo" e "Italo Svevo in Inghilterra con Ettore Schmitz", l'intervista di Tullio Kezich alla figlia Letizia Fonda Savio, l'intervento da scrittore a scrittore di Renzo Rosso sui "Romanzi di Svevo", la bibliografia di "Bruno Maier svevista" curata da Barbara Sturmar. Dal sesto fascicolo dei Quaderni di studi sveviani "Aghios", diretti da Giuseppe A. Camerino e Elvio Guagnini, pubblichiamo il testo inedito dello scrittore Boris Pahor "Non è tra i miei autori", per gentile concessione della casa editrice Campanotto. di BORIS PAHOR Non è un mio autore, non nel senso che mi tratterrei nel consentire ai grandi meriti che si attribuiscono alla sua opera, ma per le posizioni che io ritengo negative. E la prima la definirei prendendo in prestito Giorgio Voghera: di Svevo infatti disse che pensava in tedesco e scriveva in italiano. Intendiamoci, aveva il diritto di farlo come aveva diritto di farsi chiamare Italo Svevo invece con Hector Schmitz, ma questo sdoppiamento al quale si arriva con una decisione presa per essere ben accettato dalla maggioranza ovvero dal potere, non fa nascere in me un'inclinazione simpatica verso il personaggio. Si dirà che sono influenzato dal fatto che la mia generazione è stata costretta a cambiare il nome e il cognome in forma italiana e ha dovuto non solo pensare in sloveno e scrivere in italiano, ma, se uno studente sloveno voleva avere la promozione, doveva pure pensare in italiano quando scriveva di Dante, Mazzini e Garibaldi. Anche tolta questa influenza vissuta, credo tuttavia che uno sdoppiamento che non avesse vere radici profonde non mi andrebbe, sempre lasciando da parte il grande valore dell'opera. Nella bella antologia "Italo Svevo et Trieste" edita dai "Cahiers pour un temps" del "Centre Georges Pompidou" nel 1987, ho trovato nell'intervista concessa da Letizia Svevo e Jean Clausel questa affermazione riguardante suo padre: «Pourtant toute sa vie, il ne dissimula pas sa sympathie pour le socialisme masi il ne s'inscrivit pas à ce parti qui était alors considéré pro slave ou pro autrichien». Ma si iscrive invece da patriota al Partito nazionale liberale sulla stessa pagina. Una posizione ambigua, come la stessa Letizia constata nella pagine seguente. Il punto che mi tocca è quel distanziarsi dal socialismo perché difende i diritti della popolazione slovena, diritti conculcati ostinatamente dal Comune. Mi spiace per Svevo e per il suo ideale socialista che prende in considerazione il mondo ma tralascia le ingiustizie nostrane. Ma dopo queste due ragioni di dissenso devo dire del movente principale per cui Svevo non fa parte degli autori preferiti. E qui devo premettere una spiegazione. Quando, costretto a pensare e a scrivere in una lingua non mia, mi sono trovato in una situazione psicologica ed esistenziale ardua, un avvenimento fortuito mi fece trovare i libri di Dostoevskij. Certo, i grande romanzi, ma i due che mi aiutarono nello stato in cui mi trovavo furono i "Ricordi del sottosuolo" e "Umiliati e offesi". Del primo preferirei dire altrove, ma nel secondo mi sentivo già incluso nel titolo stesso: essere figlio di un popolo diseredato dalla sua lingua nel XX secolo era più tragico che essere senza lavoro. Sicuro, poi le offese furono tante altre e uno dei miei scrittori preferiti, Albert Camus, lo disse in modo stringato ed efficace: «Sono cresciuto come gli uomini della mia età coi tamburi della prima guerra, e poi la nostra storia non finì di essere omicidio, ingiustizia e violenza». Sì, allora, ancora studente, decisi che, se avessi scritto, sarebbe stato degli umiliati e offesi. Credo di essere stato fedele a quel lontano proposito. Così, prima di rileggere "La coscienza di Zeno", prenderei, per esempio, "I promessi sposi" e, in sloveno, "Hlapec Jernej in njegova pratica", il Servo Bortolo e i suoi diritti.