Quel viaggio in kayak sognato tutto l'inverno sulla rotta verso Zara

yyEmilio Rigatti, nato a Gorizia nel 1954, ciclista, giornalista e scrittore, insegnante di scuola media dal 1983, per otto anni in Colombia come cooperante nel settore educativo. Tra i suoi libri, pubblicati soprattutto da Ediciclo, "La strada per Istanbul" (2002, sul viaggio di 2116 chilometri in bicicletta da Ruda a Istanbul assieme ad Altan e Paolo Rumiz), "Minima pedalia" (2004), "Yo no soy gringo" (2005), "Italia fuorirotta. Viaggio a pedali attraverso la Penisola del tesoro" (2007), "DalmaziaDalmazia! Viaggio sentimentale da Trieste alle Bocche di Cattaro" (2009). Lo scrittore goriziano Emilio Rigatti ha portato a termine una nuova avventura a bordo del suo kayak, "Da Trieste in zò", ovvero da Trieste in giù fino a Zara, in fondo alla Dalmazia. Un viaggio a tappe che racconterà in agosto con un reportage sul "Piccolo". Intanto ha scritto questo articolo sui preparativi e sul progetto di navigazione. di EMILIO RIGATTI Se l'immaginazione non ha gli anticorpi giusti, il virus del viaggio può scatenare il contagio. Il contatto distratto con una foto, con una schermata di google earth, con un vecchio progetto abbandonato possono essere fatali. Non ci si può lavare le mani, disinfettarsi non serve. I primi sintomi possono essere impercettibili, come il ripresentarsi del nome di una città, di una rotta, magari scacciate con un «no, lasciamo perdere». L'anno prossimo, magari: l'anno prossimo è un immane contenitore di viaggi non fatti. Lasciamo perdere, diciamo, ma poi quel nome, quella rotta, accendono il desiderio senza preavviso, come la voglia di sigarette che aggredisce il fumatore che cerca di smettere. Torna anche in sogno, il viaggio sognato, come il bubbone di don Rodrigo. Ci svegliamo sudati e la rotta è lì, nel buio, che ci guarda. Occhi fosforescenti di gatto Cheshire, striscia di zolfanello da una pupilla all'altra di un desiderio geografico acquattato come un felino. Non sparisce col risveglio, anzi, sentiamo che pulsa come una vena in allarme. Miao, diceva il gatto. Sai cosa voleva dire? Parti, bello, è l'unica cura. Miao. In realtà questo viaggio l'ho già fatto. In un kayak stipato di tenda, viveri, acqua, fornello, carte, libri e diari di viaggio. L'ho fatto cento volte, quest'anno, esplorando cale e calette dell'Istria e delle isole dalmate con Google Earth. Ho tracciato rotte, immaginato pericoli, calme e riposi del marinaio, su scogli abitati solo da gabbiani e, per un'ora, da me. Quel viaggio l'ho già fatto, l'ho vissuto per tutto l'inverno. In segreto. Potrei scriverne un diario. La malattia, il virus fatto meridiani e paralleli, si sconta preparandolo. E la sua cura è una sola, miracolosa, istantanea: il primo colpo di pagaia che affonderà nell'Adriatico, davanti a Piazza dell'Unità a Trieste, spingendo la prua del kayak la prua in direzione di Muggia. Non ha una meta, ma un desiderio che fa da polo magnetico. Il desiderio si chiama Zara. Ma basta la buona ventura di scendere la costa istriana per passare a Cherso, poi a Lussino, poi si vedrà. Se il desiderio di quest'anno si chiama Zara, non vuol dire che ci devo arrivare. Arrivarci è secondario e soprattutto improbabile. Ma che parta, questo è sicuro, magari per naufragare a Isola d'Istria e chiudere l'odissea davanti a un piatto di scampi in busara... Il viaggio potrebbe chiamarsi: «Da Trieste in zò...». Quanto in zò, vedremo. Il coraggio è poco, la meta è flessibile, la volontà di panna. Detto questo, parto. Mi rendo conto che ci vuole un kayak più lungo e più marino di quello che ho. L'occasione arriva. E' un 526 Sea Kayak Design, usato ma come nuovo, un buon prezzo e una tenuta di mare che mi conforta. Tre gavoni stagnissimi, deriva mobile e pure l'asta per la bandierina. È un progetto di Raymond Varraud, un signore franco-romano che fuma la pipa e che, se avesse i baffi, potrebbe fare Maigret. Una domenica prendo una sventolata di bora a 30 nodi e qualche giorno dopo, tornando da Miramare con Riccardo Pittia, il mio istruttore del Canoa Kayak Friuli, sperimento un mare traverso di libeccio. Forza tre-quattro, dice Riccardo, e non ti sei ribaltato! Per poco, ma è vero. È un test che mi convince che è la barca giusta. Ma i soldi sono pochi, quest'anno, e l'unico cache che ho sottomano è quello dei libri in conto vendita che mi dà l'editore per vendere alle presentazioni dei miei libri. Pago con quelli, poi al ritorno si vedrà, faremo patta coi diritti d'autore che mi devi, cent più cent meno. Insomma, Starbuck II è mio. Poi, gli acquisti, in affanno vorticoso. GPS, VHF, corde, moschettoni, colla, attrezzi, carte, fornello, i razzi di segnalazione, un carrello smontabile. Sì, perché la barca carica non si trasporta a mano, ci vogliono le ruote. Me lo costruisce Luciano Belloni, una persona che non conosco che trovo sul web, e me lo spedisce a casa. Perfetto: riesco a incastrarlo tra la pedaliera e la paratia stagna del gavone di prua. Altro spazio salvato. Nevio Segatti, postino e falegname in pensione, in arte Bepo Marangon, mi sistema la bussola, mi aiuta a preparare un rullo da sbarco con le guaine in plastica dei cavi elettrici. Poi, l'avventura dello stivaggio. Passo ore al Villaggio del Pescatore a cambiare posto alle sacche stagne, a rubare centimetri cubi inventando un puzzle di cui disegno e cambio i pezzi in continuazione. Pongo attenzione a impermeabilizzare il computer e tutte le diavolerie per ricaricare tutto il mediaworld che mi tiro dietro: la lampada frontale, il cellulare, il GPS, il notebook. Ho anche una radio di bordo – un VHF - per ascoltare i bollettini nautici e, se fosse necessario, per accedere al Canale 16, quello dei soccorsi. Perdo ore a Trieste per avere la licenza d'uso delle frequenze prima di partire. Imparo le formule: il Myday, il Pan Pan, il modo di spostarmi sui vari canali. Infine, un paio di uscite a pieno carico con gli amici del CKF che mi danno una mano in tutto: prove di appoggio, eskimo, il rientro in barca con la pagaia e il galleggiante che si infila a una pala per usarla come bilanciere e punto di appoggio per risalire dopo un ribaltamento e un eskimo andato a vuoto. Ho tutto, funziona tutto, ma sono esausto. Ho un po' di strizza, perché no? Comunque un viaggio, in questi mesi, l'ho già fatto. Potrei anche non partire. Ma per attivarlo davvero, il viaggio, bisogna riavviarlo come con i programmi dei computer. E per farlo bisogna cliccare sull'icona con la pagaia. Il giorno?, parto da Trieste. E poi: in zò, come da non-programma. ©RIPRODUZIONE RISERVATA