SUICIDA A TRIESTE L'UOMO CHE ABBATTÈ BALBO

di PIETRO SPIRITO


Morì suicida a Trieste all'età di 58 anni l'uomo che diede l'ordine di abbattere l'aereo pilotato da
Italo Balbosui cieli di Tobruk nel giugno del 1940. Gino Del Pin, originario di Palmanova, capitano di vascello e direttore di tiro della nave "San Giorgio", poi comandante della torpediniera "Orfeo", eroe di guerra decorato con una medaglia d'argento e quattro di bronzo, nel dopoguerra industriale della Modiano fra i più noti a Trieste, a mezzogiorno in punto del 24 ottobre 1964 si sparò un colpo di pistola all'interno della Fiat Seicento di proprietà dell'azienda di cui era consigliere d'amministrazione. Lasciò la moglie Antonietta e i figli Italo (lo stesso nome dell'uomo che aveva abbattutto) e Barbara. Nel biglietto scritto ai familiari prima di mettere in atto il proposito di farla finita, secondo quanto riportato dai giornali di allora il gesto fu causato da "un grave e invincibile stato di depressione". Ma le ragioni furono forse altre, e vanno cercate sia nei trascorsi bellici di Del Pin, sia nei difficili rapporti che si erano instaurati con gli eredi della famiglia Modiano. È fuor di dubbio che, per un uomo come Del Pin, militare tutto d'uno pezzo passato alla storia come "l'eroe della San Giorgio", essere il responsabile della morte di Italo Balbo, suo comandante supremo, rappresentava un peso enorme: una macchia indelebile in una vita spesa in nome dell'onore che i malumori e i sospetti alla Modiano nei suoi confronti dovevano aver reso insostenbile.
«Non parlava mai con nessuno dell'abbattimento di Balbo, ma per lui era un rovello continuo, anche a tanti anni dalla fine della guerra». Il ricordo è di Benvenuto Fantin, 90 anni portati con leggerezza, collaboratore di Del Pin alla Modiano e per un periodo suo confidente. Anche lui reduce della Marina sopravvissuto al disastro navale di Capo Matapan, già direttore della segreteria dell'Ufficio legale del Governo militare alleato a Trieste nel dopoguerra e quindi, dal 1958, responsabile dei mercati esteri della Modiano, poligrafo appassionato di storia e folklore, a 70 anni dalla morte di Balbo, Benvenuto Fantin ha consegnato a una memoria scritta le confidenze di Gino Del Pin, uomo altrimenti schivo e di poche parole. Confidenze che oggi gettano nuova luce su uno degli episodi più indagati e controversi della seconda guerra mondiale, la morte di Italo Balbo.
«Nel 1962 - racconta Benvenuto Fantin - Del Pin assunse un ruolo di primo piano alla Modiano». «Quell'anno - continua - il comandante venne da me dicendo che voleva conoscere di persona la realtà dei mercati esteri, per cercare di migliorare gli affari; così partimmo insieme per un viaggio di due mesi che ci portò in Asia, Giordania, Egitto, Indonesia, Malesia, Hong Kong... insomma girammo mezzo mondo».
Gino Dal Pin è un militare, un ufficiale di Marina, e fino a quel momento i suoi rapporti con Benvenuto Fantin sono sempre stati formali, e i colloqui esclusivamente di lavoro. Ma in due mesi di viaggio, nella condivisione quotidiana di disagi e piccole disavventure, le formalità vengono meno, e tra i due si instaura se non proprio una vera amicizia almeno una familiarità che lascia cadere molte riservatezze. «Scoprii così - continua Fantin - che quanto avvenuto a Tobruk nel 1940 era per il comandante Del Pin un autentico rovello; non si dava pace, e una volta avviato un rapporto di fiducia con me era un argomento che tirava fuori spesso». Del resto, anche se la storiografia ufficiale ha fugato ogni dubbio sul fatto che si sia trattato di un incidente, la morte di Italo Balbo continua ancora oggi ad alimentare ombre e dubbi che le numerose pubblicazioni, testimonianze, film e documentari non hanno ancora dissolto del tutto.
Nato nel 1896, politico, militare e aviatore, Maresciallo dell'aria, Italo Balbo è governatore della Libia e comandante supremo delle forze italiane in Nord Africa quando muore ucciso dal "fuoco amico". Fascista della prima ora (era stato uno dei quadrumviri della marcia su Roma) trasvolatore popolarissimo e ammirato anche dagli avversari inglesi e americani, nel 1934 Balbo viene promosso governatore delle Cirenaica e del Fezzan, che sotto il suo patronato si fondono in un'unica colonia, la Libia. In realtà la promozione è una rimozione: con la sua popolarità, il carattere individualista e guascone, le critiche feroci nei confronti dell'alleato tedesco, la contrarietà alle leggi razziste, le relazioni extraconiugali, l'assoluta avversità all'entrata in guerra dell'Italia, l'antagonismo con Ciano, Balbo si è fatto parecchi nemici e ha sollevato molte invidie nel partito. Lo stesso Mussolini preferisce averlo fuori dai piedi.
Il suo ultimo giorno di vita, il 28 giugno 1940, Balbo si alza in volo alle 17 dalla pista libica di Derna con il suo Savoia Marchetti SM 79, trimotore ad ala bassa, per una missione di ricognizione a Sidi Azeis e Ridotta Capuzzo. A bordo con lui ci sono otto persone tra ufficiali, stretti collaboratori, familiari e amici, tra cui il giornalista Nello Quilici, padre di Folco Quilici, che molto scriverà sulla morte del genitore (fra l'altro il libro "Tobruk 1940", Mondadori). Un secondo SM 79 pilotato dal fedelissimo generale Felice Porro, con altre nove persone a bordo, decolla assieme a Balbo. Prima tappa - inizialmente non prevista - il campo T-2 di Tobruk. Alla partenza la base di Derna avvisa il T-2 del previsto arrivo degli apparecchi italiani, la base di Tobruk riceve il messaggio ma il posto di comando delle batterie navali no. Verso le 17.30, quando i due SM 79 arrivano nel cielo di Tobruk è appena finita un'incursione aerea nemica, e le contraeree italiane pensano subito a un nuovo attacco. Secondo quanto scrive Claudio C. Segrè nel suo libro "Italo Balbo", appena ripubblicato dal Mulino (pagg. 512, euro 16,00), «l'aviere addetto alle comunicazioni al T-2 cercò freneticamente di mettersi in contatto con le batterie navali al porto e trasmettere il messaggio di Derna, che cioè Balbo era atteso. Non ebbe risposta. Durante l'incursione area dall'altra parte avevano abbandonato il posto».
E qui entra in gioco Gino Del Pin, che in quel momento è direttore di tiro sull'incrociatore San Giorgio, ormeggiato e zavorrato nel porto di Tobruk in funzione di fortezza galleggiante. «Quando le vedette avvistarono i due SM 79 senza riconoscerli - racconta oggi Benvenuto Fantin, - il direttore di tiro della nave, appunto Del Pin, si mise subito in contatto radio con il comando a Roma, così mi disse, per sapere se poteva trattarsi di velivoli italiani. La risposta fu negativa». «Da quanto mi raccontò durante il nostro viaggio - continua Fantin -, Del Pin era indeciso se aspettare un'iniziativa ostile da parte dell'aereo (quello di Balbo era più vicino e basso di quota, ndr) o impedirla subito aprendo il fuoco; doveva prendere una decisione in fretta, e nessuno poteva aiutarlo; l'apparecchio si stava avvicinando alla zona del porto, senza attaccare, ma senza nemmeno mandare segnali di identificazione; così appena fu a tiro Del Pin diede l'ordine di aprire il fuoco, e l'aereo colpito andò a schiantarsi sui rilievi che sovrastano il porto». Le artigliere contraeree della San Giorgio non furono le uniche a sparare: in poco meno di un minuto sul Savoia Marchetti di Balbo si riversò una vera pioggia di proiettili da terra, dai sommergibili e da altre navi. L'SM 79 pilotato da Porro riuscì a sottrarsi al fuoco amico e ad atterrare senza un graffio.
Negli anni diversi protagonisti di quell'episodio si sono fatti avanti rivendicando la paternità dell'abbattimento. Fra questi Claudio Marzola, capopezzo del 202° Reggimento artiglieria, che diede ordine di sparare ai mitraglieri della sua batteria a terra. Le inchieste non riuscirono ad accertare quale contraerea avesse effettivamente centrato l'apparecchio del Maresciallo dell'aria, e le testimonianze in tal senso furono e restano discordanti. Ma diversi storici sono sostanzialmente concordi nell'affermare che i colpi fatali arrivarono dalla nave San Giorgio. Di certo ne era convinto Del Pin. A parlare apertamente di sabotaggio, invece, fu per prima la moglie di Balbo, la contessa Emanuela Florio. «Ma ogni volta che sentiva questa versione - ricorda Fantin - il comandante Del Pin andava su tutte le furie: "sono stato io a dare l'ordine di sparare - diceva - e l'ho fatto solo perché il Comando mi aveva detto che non c'erano aerei italiani in volo su Tobruk, lo scrissi anche nel mio dettagliato rapporto a Supermarina"».
In seguito Gino Del Pin si mise in luce facendo saltare in aria la San Giorgio, nel gennaio del 1941, dopo 250 giorni di resistenza ai continui attacchi alleati, per non farla cadere in mano nemica. Dopo aver fatto brillare l'esplosivo, l'ufficiale riuscì a salvare la pelle per un soffio, evitando anche la prigionia con una fuga rocambolesca. Due anni più tardi, alla data dell'Armistizio, Del Pin era al comando della torpediniera "Orfeo", e riuscì a portarla in salvo nel porto neutrale di Barcellona. Dopo la guerra, grazie alle conoscenze con i Modiano, l'ex ufficiale entrò nell'azienda dalla porta principale, fino a far parte del Consiglio d'amministrazione. «Il fatto - continua Benvenuto Fantin - è che a lungo andare Del Pin si trovò a disporre senza controlli di un'importante e onerosa liquidità finanziaria; era abituato a prendere decisioni in piena autonomia, si era anche stabilito a villa Modiano, unico inquilino». Inevitabili, alla lunga, i dissapori con la proprietà, «che riteneva quella di Del Pin una conduzione aziendale troppo personale, autonoma e non aperta o disponibile agli eredi».
La mattina del 24 ottobre del 1964, alla vigilia del decennale del ritorno di Trieste all'Italia, il comandante Del Pin va in ufficio, si fa consegnare la pistola in dotazione al responsabile di cassa, prende la macchina di servizio e si allontana. Poi si spara. La notizia sarà diffusa solo quattro giorni dopo, e al funerale verrà mezza Trieste. Nel necrologio, la Modiano industrie cartotecniche Spa ricorderà «le benemerenze e l'intelligente collaborazione da Lui prestata all'Azienda con fervore impareggiabile». Le cronache invece ricorderanno l'eroe della San Giorgio, lo strenuo difensore di Tobruk. Nessuno parlerà del tragico errore del giugno 1940, quell'ordine dato in buona fede e in piena responsabilità, e che avrebbe tormentato il comandante Del Pin per i giorni che gli rimanevano ancora da vivere.
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