Sulle tracce di Paul Morand lo scrittore diplomatico che visse e morì a Trieste

di Anna Zoppellari

«È una nobile piramide di pietra, alta sei metri, un pezzo d'eloquenza tutta italiana, in cui un angelo due volte più grande di un uomo socchiude sull'oltrevita una porta di marmo nero, spessa come quella d'una cassaforte, vuota». È con questa immagine, severa ed essenziale, che Paul Morand descrive quella che sarà la sua ultima dimora, solo cinque anni dopo, nel cimitero greco-ortodosso di Trieste.
È il 1971, ed un Morand oramai stanco dopo una vita ricca «di eventi fortuiti» consegna alla città di Trieste le sue ultime parole e il suo estremo desiderio. Inserisce questa volontà in Venises, «opera indefinibile», come scrive Leopoldo Carra nell'introduzione alla traduzione italiana, in cui molti generi si incontrano e si passa dal libro di viaggi al diario intimo, dalla «divagazione sulla Storia e il costume» alle note letterarie, dall'arte alla rêverie. Opera, soprattutto, le cui ultime pagine sono dedicate a Trieste, ad una Trieste in cui l'architettura diventa il segno di un difficile incontro tra passato e presente, dove i segni della memoria sfiorano gli edifici di venti piani e le «quinconce di platani reumatici» mettono in evidenza «vecchie cicatrici otturate dal cemento». Libro-testamento, in cui l'idea di frontiera tra oriente e occidente evoca una frontiera più indefinita, l'ultima, quella che lo scrittore avrebbe di lì a poco oltrepassato. Lui, che molti anni prima aveva anticipato l'idea della soppressione delle frontiere. Venises è un'opera in cui Trieste diventa anche lo spunto per una riflessione, l'ennesima dello scrittore-diplomatico, sulla politica internazionale europea nel corso del XX secolo e sul rapporto fra memoria e modernità.
Paul Morand era nato nel 1888, da Eugène-Edouard Morand, alto funzionario e artista, e da Marie-Louise Charrier, in un appartamento al centro di Parigi, a pochi passi dai Champs-Elysées. Una vita vissuta al centro, da subito: al centro del mondo, dell'arte, della letteratura. Una vita nel corso della quale frequentò gli ambienti letterari dell'Entre-deux-guerres e fu amico di molti dei grandi personaggi dell'epoca, quali Proust, Cocteau, Misia Sert. Una vita, infine, in continuo movimento, in una serie interminabile di viaggi, fatti per lavoro o per piacere e che costituirono lo spunto inesauribile per i suoi scritti. Londra, New York, l'India, Tombouctou, Venezia, Trieste, Bucarest, sono solo alcune delle tappe del percorso esistenziale di un uomo che fu diplomatico, romanziere, saggista, autore drammatico, sceneggiatore e poeta.
Pubblica, nel 1917, la sua prima novella, Clarisse, sulle pagine del Mercure de France. Nel 1921, appare la sua prima raccolta di novelle intitolata Tendres stocks con la prefazione di Marcel Proust. Conosce la celebrità a partire dal 1922 con Ouvert la nuit e poi, un anno dopo, Fermé la nuit. Seguono L'Europe galante, Rien que la terre, Magie noire, Paris-Tombouctou, Champion du monde, New-York, Papiers d'identité, Air indien, Londres, Rococo, La Route des Indes, L'heure qu'il est, opere che mettono in luce l'inquietudine europea tra le due guerre.
Paul Morand ha scritto moltissimo e ha praticato tutti i generi letterari, tuttavia ha privilegiato la novella, genere ideale per un «homme pressé» che considerava la brevità e la velocità come tratti essenziali del nostro mondo frettoloso. Apprezzava la novella anche perché questo genere letterario gli permetteva di rappresentare l'animo umano attraverso visioni istantanee, frammentarie, quasi fotografiche. Anche quando tenterà di andare al di là della moralità pittoresca, scriverà, oltre ad alcuni romanzi, varie novelle lunghe nelle quali un racconto lineare sviluppa un solo nucleo narrativo e segue le gesta di un unico personaggio.
Scrive Michel Collomb che Morand «è uno scrittore dallo stile classico, che tuttavia è alle prese con una realtà delle più attuali, fatta di scambi planetari e di informazione accelerata». Fu questa capacità di cogliere con buon anticipo le grandi questioni della società contemporanea, che fanno di lui uno scrittore attualissimo, capace di anticipare «il gusto dei viaggi, l'internazionalizzazione dei modi di vita, la mescolanza delle culture e delle razze». Anticipò lo stile veloce e incisivo dei grandi reporter dei nostri giorni, scorse «i segni annunciatori dei grandi crolli e dei nuovi equilibri»; né ci sembra giusto imputargli oltre modo quella vena eccessiva di rammarico, con il quale «denunciò l'eliminazione delle differenze e dei particolarismi sotto la spinta di una cultura di massa che impone a tutto il mondo le forme standardizzate della sua nostalgia».
Se al fondo di questo rammarico è l'ideologia alto-borghese nella quale crebbe lo scrittore, non bisogna dimenticare che esso è soprattutto il retaggio di precisi modelli culturali tardo ottocenteschi, fra i quali emerge il dandismo assorbito dai grandi poeti decadenti. Morand seppe accompagnare l'affettazione del personaggio che impersonava alla vera professionalità dello scrittore. Anche i modi dilettanteschi, che spesso la critica gli rimprovera, non furono altro che lo snobismo di un vero talento letterario.
Accanto alle opere che gli diedero fama, ricordiamo infine altri titoli, la cui fortuna fu ogni volta diversa, ma che brillano, ad una rilettura contemporanea, per la capacità di approfondire l'analisi della condizione umana, i dubbi sulla verità, sulla possibilità di confrontarsi con il reale senza rimanervi imbrigliati. Già le novelle scritte nel corso degli anni '30 segnano una nuova fase nel percorso di Paul Morand che intende scendere nelle profondità dell'animo dei personaggi e giungere ad un racconto continuamente filtrato dalla soggettività del protagonista. Sono quindi le novelle inserite nella raccolta Les Extravagants (1936), quali «Milady» o «Monsieur Zéro» o quelle scritte dagli anni '50 in poi. Pensiamo soprattutto a «Hécate et ses chiens», racconto pubblicato nel 1954, nella rivista «La Parisienne», che gli diede nuova fama: con esso Morand ripropone l'immagine di uno scrittore stimato che non ha paura di affrontare tematiche e situazioni spinose. L'importanza di questa lunga novella, apprezzata da scrittori come Nimier, Déon e Blondin, sta tuttavia nella capacità di liberarsi da ogni residuo di esotismo e di cogliere il potere di uno sguardo indagatore che è ad un tempo dentro e fuori il racconto, nella forza, infine, di adottare un linguaggio che lasci trasparire la presenza di elementi fantastici, di eventi inspiegabili, riproponendo il tema del confine impreciso tra conscio e inconscio, tra norma e trasgressione.
Fu quindi per i suoi alti meriti letterari che Morand, nel 1968, fu eletto tra gli immortali dell'Académie française e sono questi stessi meriti che il convegno «Paul Morand: letterato e viaggiatore», vuole cominciare a investigare, cercando di porre un primo rimedio alla relativa esiguità degli interventi accademici in Italia.