Il 13enne ucciso dai bulli di scuola
ENNA Da una parte i silenzi degli investigatori, dall'altra i sussurri del paese. A Barrafranca (Enna) la morte di Francesco Ferreri non è più un giallo per la gente, convinta che l'omicidio del tredicenne sia maturato nell'ambiente dei compagni di scuola: una storia di bulli che se la prendono col più buono.
I carabinieri hanno interrogato una cinquantina di persone e in caserma è un via vai di gente: adulti e ragazzini. Due fratelli, uno di 13 e l'altro di 15 anni, le stanze dell'Arma le hanno frequentate più spesso. Perquisita la loro abitazione. I due già sabato, il giorno prima che fosse ritrovato il cadavere, sono stati interrogati. Ieri sono tornati con la madre e un avvocato che, dice un investigatore, è stato fatto accomodare fuori, visto che finora non c'è alcun indagato. Però ci sono un paio di pantaloni sequestrati nelle perquisizioni, con una macchia che sembra sangue; c'è l'impronta di una mano insanguinata sul guard-rail sopra il dirupo dove domenica è stato trovato il cadavere. E frammenti di capelli sotto le unghia della vittima. Toccherà alle analisi del Ris dei carabinieri e all'autopsia, rinviata, dare sostanza alle ipotesi delle indagini. Nella loro casa di via Scinà, Anna Bonanno e Giuseppe Ferreri piangono il figlio: ricevono amici e parenti, un pellegrinaggio senza sosta. Va anche il sindaco Totò Marchì, che parla di una famiglia sconvolta, che si chiede chi abbia convinto Francesco a uscire di casa: «Non si va fuori - dice il primo cittadino - senza giubbotto e senza telefonino, soprattutto se si ha la consapevolezza di incontrare qualcuno che non ti piace, che ti ha fatto del male». Il ragazzino, secondo Marchì, aveva detto ai genitori che aveva litigato con un compagno del doposcuola.
La preside Giuseppina Cammarata parla di Francesco come di un ragazzo «tranquillo, socievole e buono». Ma sa che non tutti i 600 alunni del suo istituto gli rassomigliano, qualcuno è affidato ai servizi sociali del Comune, altri sono seguiti da equipe di psicologi. La preside, che della lite di Francesco con qualcuno dei suoi compagni era al corrente, dice anche che in una scuola i piccoli screzi sono fatti quotidiani. Non lo sono per lo zio della vittima Angelo Ferrigno, che contro i bulli si scaglia senza peli sulla lingua: «Tutti sapevano che qualcuno minacciava Francesco e anche altri ragazzini. Lo sapevano anche gli insegnanti; non hanno fatto nulla».