Cosa insegna il caso Parmalat

Il caso Parmalat ha rappresentato un duro colpo alla credibilità del sistema finanziario internazionale e al tessuto economico produttivo del nostro Paese in particolare.
In termini di incidenza sul PIL nazionale, Parmalat è di gran lunga superiore ad Enron (pesa per circa l'1% del PIL italiano); a questo si devono aggiungere le inevitabili ripercussioni su aziende con cui il Gruppo lavorava nell'indotto e non.
Una vicenda complessa, probabilmente caso-limite, sulla quale è difficile esprimere posizioni semplicistiche, tante e variegate sono le varie responsabilità a vario titolo emerse. A queste non è estraneo il grande sistema bancario internazionale che probabilmente avrebbe potuto segnalare per tempo le difficoltà del Gruppo, che, operando in un settore come quello del latte, a bassissimi margini, riscontrava già da alcuni anni una fotografia patrimoniale-finanziaria molto delicata.
Voltandoci indietro non possiamo aver dimenticato i recenti casi di Cirio e Giacomelli, che insieme a Parmalat alimentano nervosismo e fibrillazione nel mercato dei corporate bond.
E come dimenticarsi dei bond argentini, delle società Internet e di tutte le dot. com? Casi non omogenei ma che da anni non fanno altro che alimentare la sfiducia dei risparmiatori verso i mercati finanziari, già annientati da anni di perdite consistenti che hanno quasi azzerato i risparmi di una miriade di investitori. Ma la cosa più sconcertante è che non si riesce a capire come tutto ciò sia potuto accadere dato che di organismi di controllo in Italia siamo fornitissimi: Banca d'Italia, Consob, Isvap, Covip, società di rating, società di revisione dei bilanci, etc.
Tutto questo si è inserito in una congiuntura economica generale difficile che ha portato alla luce in maniera dirompente le difficoltà di un Gruppo, tra i più grandi al mondo nel suo settore, alla cui crescita attraverso acquisizioni negli anni '90 soprattutto estere, il sistema bancario internazionale non è stato certo estraneo. Oggi il pericolo che si corre è quello di dover essere costretti sul fronte bancario. È un problema che riguarda tutti al di là delle appartenenze politiche. Di certo, alcune posizioni di difesa a priori di alcune istituzioni (tra tutte Bankitalia) apparivano fuori luogo. Nessuno si deve chiamare fuori. La magistratura fino ad ora ha operato in maniera decisa e allo stesso tempo prudente. Ora bisogna pensare a ricominciare, ben consapevoli del fatto che purtroppo l'etica soprattutto negli affari non si impone per legge. Il paese avrà la forza e il coraggio, per risollevarsi e tornare ad essere protagonista sui mercati nazionali e non. La politica non può che limitarsi a costruire l'impianto regolamentativo. Il resto spetta al mercato che deve trovare nei suoi meccanismi la forza di reagire.
Paolo PecoraroPresidente Cittadino UDC