Milo, l'ultimo dei Navasa


di Francesco Piero Franchi
S i è svolta lunedì la cerimonia funebre per Milo Navasa, illustre alpinista veronese di origine bellunese, deceduto giovedì 10 settembre. Sulla sua bara, nella cappella del cimitero monumentale di Verona, erano stati collocati rami di mugo, un elmetto rosso da rocciatore, una corda d'alpinismo pure rossa e il fazzoletto a striscie bianche e blu dei deportati politici.
Accademico del Cai, direttore di una scuola di roccia, autore di memorabili imprese alpinistiche, nato a Venezia nel 1925 e vissuto a Verona, Milo Navasa apparteneva a una antica famiglia bellunese dalla storia singolare.
Il cognome (in origine "da Navasa") proviene dalla piccola frazione omonima in comune di Limana, ben nota alle cronache bellunesi fin dal Medio Evo: nel 1193 Martino da Navasa era canonico della Cattedrale di Belluno, nel 1243 il sacerdote Giovanni da Navasa è testimone arbitrale in una causa feudale, nel 1269 nella vendita di un maso in quella frazione di Limana si cita un Nicolao decano de Navaxa, dal 1311 al 1322 sono documentati acquisti e vendite di terre per opera di ser Bartolomeo di Navasa.
Non siamo nell'ambito della nobiltà, ma in quella dei proprietari artigiani, con presenze del clero; i Navasa sono noti soprattutto per merito di Tono da Navasa, zattiere di Belluno, un personaggio di rilievo: nel 1492 è tra i firmatari dello Statuto degli Zattieri presentato al Doge ed approvato. Nel 1511, durante la spaventosa guerra scatenata contro Venezia dall'Impero d'Austria e dai suoi alleati, con un gruppo di altri zattieri attuò una vera e propria forma di resistenza anti-tedesca, sabotando sul Piave un convoglio di zattere cariche di materiale bellico destinato all'assedio di Treviso, uccidendo i soldati di guardia e salvandosi a nuoto dopo aver distrutto il carico. Subì le rappresaglie degli occupanti, che distrussero i beni a lui e agli zattieri rifugiatisi a Venezia, ma fu generosamente ricompensato dal Doge, che concesse campi in premio a questi suoi sudditi coraggiosi e fedeli. Così Toni da Navasa cambiò condizione economica, restando zattiere ma sviluppando anche attività artigianali in città: nel 1513 è presente, come autorevole testimone ("mastro"), alla composizione di vertenze tra gli zattieri di Lavazzo e i cadorini.
Da lui discende la linea di mercanti che si arricchirà sempre più e farà alleanze matrimoniali con altri ricchi mercanti di Venezia; sicché nel 1685 un Francesco Navasa può acquistare la nobiltà bellunese. I suoi discendenti beneficeranno dell'ingente patrimonio di famiglia accresciuto dal lascito della famiglia veneziana Varotti al primogenito di ogni generazione Navasa. Questo ramo si chiamerà, per obbligo testamentario, Navasa Varotti, e si estinguerà nel 1854 con le dissipazioni del letterato bellunese Giusto Navasa Varotti (1775-1851).
L'altro ramo, quello da cui discendeva Milo, ha come protagonista principale un altro Francesco (questo nome, insieme ad Augusto, è tradizionale nei Navasa e nelle famiglie da essi discendenti): nato nel 1765 e morto nel 1854, alla caduta della Serenissima nel 1797 si dimostrò giacobino e fautore della rivoluzione; divenuto capo-sarto del 93º Reggimento di Fanteria di linea di Napoleone, seguì il suo reparto in tutte le vicende, ritornando a Belluno, con una certa agiatezza, dopo la caduta dell'Imperatore; in Francia, da una giovane bellunese della borghesia agiata, nacque suo figlio Augusto (1815-1894) imprenditore a Belluno, patriota risorgimentale, capo della Guardia Nazionale nel 1848, con la quale respinse un forte reparto austro-croato; da lui nacque Francesco, avvocato, padre del successivo Augusto (1895-1945).
Quest'ultimo, tecnico della Telve, pur nato a Belluno, si spostò prima a Venezia, dove nacque Milo, e poi a Verona: durante l'occupazione tedesca 1943-1945, la sua posizione di tecnico dei telefoni gli consentiva di aiutare il movimento partigiano. Nel dicembre del 1944 una delazione portò i nazisti ad arrestare Augusto Navasa e suo figlio, allora diciannovenne: il padre fu deportato a Mauthausen, da cui non ritornò, il figlio invece al lager di Bolzano, da cui scampò.
La famiglia Navasa, che ora si estingue (Milo ha solo una figlia, che vive a Londra, dove è sposata con un inglese e ha due bambini), era imparentata sia con famiglie della tradizionale nobiltà bellunese (per esempio i Barcelloni-Corte), sia con il notabilato borghese di proprietari, commercianti o artigiani, per esempio i Volpe, i De Col Tana, gli Smali e soprattutto gli Zanolli: le due sorelle Marina (1828-1910) ed Elisabetta (1817-1911), figlie di Francesco, il sarto napoleonico, sposarono l'una Rocco Volpe, fratello di don Angelo, il ben noto prete-patriota, e l'altra Giuseppe Zanolli; Teresa Volpe figlia di Marina e Francesco Zanolli figlio di Giuseppe, cugini primi, si sposarono tra loro.
Ho raccontato questa storia a Milo, circa due anni fa, in una mia visita (era ricoverato in ospedale): per motivare il disturbo, gli dissi che stavo cercando informazioni storiche sul gruppo di famiglie che ci implicava insieme. Ricordava appena, per averlo sentito dire dal padre, che la famiglia era di origini bellunesi, e che aveva avuto una certa importanza, ma di Belluno, veramente, conosceva solo le montagne che aveva scalato, e gli uomini che le frequentavano.
Dimostrò una ironica saggezza da vecchio montanaro: "Sono l'ultimo dei Navasa? E allora? Non ci posso far niente." E aggiunse anche, forse a mio uso e consumo: "Sul passato, anche se ci dispiace, non possiamo più intervenire; sul futuro non abbiamo nessun controllo. Meglio godersi il presente, senza perdere tempo a rimestare il passato. La mia vita è quello che è qua, e buonanotte al secchio, di piani venturi non ne ho nessuna voglia."